Economia e Potere

MMT: la risposta di Mosler a Brancaccio, [di Warren Mosler]

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view post Posted on 7/1/2013, 20:47     +1   -1
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Pubblichiamo la risposta di Warren Mosler all'intervento di Emiliano Brancaccio leggibile qui.

MMT: la risposta di Mosler a Brancaccio

di Warren Mosler

Innanzitutto, permettetemi di ricordare che la MMT era originariamente “Mosler Economics” [Economia di Mosler, ndt] ed iniziò tutto con “Soft Currency Economics” (1993) [Economia della Valuta Fiat, ndt] scaricabile su www.moslereconomics.com. Inoltre, i passaggi della “storia della MMT” sono in “The 7 Deadly Innocent Frauds of Economic Policy” [le Sette Innocenti Frodi Capitali della Politica Economica, ndt] anch’esso gratuitamente scaricabile dal mio sito. Notate oltretutto che “Soft Currency Economics”era il risultato dei miei primi 20 anni di esperienza personale nel sistema bancario e nelle operazioni monetarie. Non avevo mai letto Keynes, o tantomeno sentito parlare di Lerner, Knapp, né avevo nessun’altra conoscenza di qualche “post keynesiano”. Per cui, nonostante potrebbe essere corretto dire che la MMT derivi da una scuola di pensiero o un’altra, non è nata in quel modo. E ad esempio, quando recentemente avanzai la mia discussione riguardo [i costi, ndt] “reali” contro quelli “nominali” dei trasferimenti fiscali compensativi nelle unioni monetarie, spiegando come la produzione di beni e servizi per farne poi beneficiare l’intera unione è in effetti un costo reale per le regioni che ricevono questi pagamenti in cambio dei prodotti, ciò rientrava anch’esso nella “filosofia originale” della MMT (pur riconoscendo i limiti di tale affermazione!).

In secondo luogo, se c’è un contributo “fondamentale” della MMT alla “letteratura economica”, è l’esplicitazione che una valuta come il dollaro è nel concreto un chiaro monopolio pubblico e il resto ne è una conseguenza. Attraverso quest’ottica ho approfondito il dibattito sempre attuale tra Keynes e gli economisti classici [neoclassici, ndt], dove i classici argomentano che ci può essere piena occupazione in assenza di monopoli e Keynes controbatte che nella pratica ci può essere disoccupazione persistente anche in assenza di monopoli, a causa del reddito non speso, ecc. nel sistema monetario. La mia idea è che abbiano entrambi mancato nel riconoscere nella moneta un monopolio dello stato. La domanda nozionale è rappresentata dalla tassazione e dal desiderio di risparmio, mentre l’offerta nozionale viene dalla spesa pubblica e/o dall’indebitamento sovrano. La disoccupazione è la prova dell’insufficienza nell’offerta del monopolista [della moneta, cioè lo stato, ndt] – cioè l’insufficienza della spesa nel soddisfare il bisogno di pagare le tasse e il desiderio di risparmio netto in quell’unità di conto. Quindi è giusta l’idea dei classici per cui è il monopolista che determina disoccupazione, ma fallirono nel riconoscere quale era di monopolio applicabile. Keynes invece aveva ragione, il problema è dal lato monetario, mancando però di riconoscere la moneta come monopolio pubblico, considerato poi che scrisse a lungo di questo argomento. Se Keynes avesse riconosciuto la valuta come tale, lo avrebbe di sicuro esplicitamente dichiarato in quella discussione e in altri luoghi, anche per supportare molte sue affermazioni.

Con riguardo alla teoria circuitista, quando incontrai inizialmente i post keynesiani canadesi intorno alla metà degli anni ’90, i quali rispetto profondamente specialmente gli M&M (Mario e Marc), lessi alcune parti della teoria del circuito monetario, e mi sembrò intuitivamente ovvia – uno di quei concetti implicitamente accettati – mi stupii del fatto che fosse necessario scriverne! E il mio primo commento fu che, mentre ero pienamente d’accordo nei concetti espressi, essa “non iniziava dal principio”, in quanto iniziava con le aziende che prendevano in prestito per poter pagare i lavoratori assunti, ma non metteva mai in discussione la ragione per cui chiunque avrebbe dovuto lavorare per la moneta in primo luogo.

Spiegai ad essi che, essendo la moneta un evidente monopolio pubblico, attraverso l’imposizione fiscale le tasse fungevano da “forza-guida” al “circuito governativo”, e a livello macro creavano venditori di beni reali e servizi, inclusa la forza lavoro, che è la ragione per cui le persone lavorano per il denaro. Il professor Alain Parguez lo comprese immediatamente e lo inserì nel suo paper successivo, col risultato di venire gravemente criticato e isolato dalla maggioranza dei circuitisti per molti anni! I più di loro finirono con l’accettarlo dopo anni, mentre credo alcuni continuino a non vederlo.

“Credo sia utile ricordare che questa tesi trova un rigoroso fondamento di teoria dei prezzi relativi e della distribuzione negli sviluppi della cosiddetta “teoria della produzione”, alla quale, tra gli altri, Leontief e soprattutto Sraffa hanno dato fondamentali contributi (cfr. Pasinetti 1975; Kurz e Salvadori 1995; cfr. anche Petri 2004). In particolare, è proprio alla luce della teoria della produzione che la tesi suddetta e le sue implicazioni possono essere estese al cosiddetto “lungo periodo”, e le obiezioni di Krugman (2011) alla MMT possono quindi essere efficacemente criticate.” (Emiliano Brancaccio)

Concordo sui prezzi relativi, ma la MMT rivela la fonte dei prezzi nominali assoluti. Ed è davvero semplice. Come tutti sanno, il monopolista “fa il prezzo” [price setter] invece di “subirlo” [price taker]. E il monopolista è il decisore di due prezzi. Il primo, quello che Marshall chiama “il proprio tasso” , cioè il tasso a cui l’oggetto è barattabile per se stesso. Per una valuta questo rappresenta il tasso di interesse, che come ben sappiamo è determinato non dai “mercati” ma dalla banca centrale in quanto fornitrice in monopolio delle riserve per il sistema bancario, prezzando il costo marginale dell’approvvigionamento di liquidità del sistema bancario. Il secondo prezzo è quello di scambio con altri beni e servizi, che chiamiamo “livello generale dei prezzi”.
Direi in questo modo: il livello dei prezzi è necessariamente una funzione del prezzo pagato dall’emittente all’atto della spesa, e/o di domanda collaterale quando presta [la valuta, ndt].

“Tuttavia, come Lavoie ha mostrato, essa deriva da una semplice convenzione contabile: alcuni teorici monetari moderni analizzano la banca centrale e lo stato come se fossero un unico settore consolidato. L’arcano è facilmente risolto, dunque. Tuttavia bisogna anche aggiungere che questo consolidamento, nella attuale realtà politico-istituzionale, non esiste.” (Emiliano Brancaccio)

Innanzitutto, ne sono pienamente consapevole e vale per le realtà istituzionali in ogni momento. Così come riconosco che, non importa come la si veda, la spesa, per l’emittente della moneta(inclusi i suoi agenti designati), viene prima della tassazione o dei prestiti.

Il Congresso degli Stati Uniti è l’autorità emettente ed ha assegnato diversi compiti al Ministero del Tesoro e alla Federal Reserve, col fine di concretizzare le sue volontà. La Fed opera con un foglio di calcolo che contiene i conti delle banche aderenti, così come un conto del Tesoro.

Comincio, ai fini di questa discussione, dall’inizio, senza saldi in nessun conto. Ogni pagamento delle tasse richiede che la Fed addebiti sul conto di una banca membro e accrediti sul conto del tesoro. Ciò è impossibile senza bilanci nei conti delle banche membro, a meno che venga permesso loro di avere bilanci negativi.
Tuttavia i bilanci in negativo – gli scoperti di conto – sono tecnicamente prestiti della Fed, un agente del Congresso. Ciò significa che il pagamento delle tasse tramite scoperto è l’equivalente di estinguere l’onere fiscale con un prestito della banca centrale. Ossia, come in questo esempio, la Fed dovrà anticipare i dollari che accredita per il pagamento delle tasse.

Per dirla con i termini degli esperti del mestiere non c’è “drenaggio di riserve” senza “aggiunta di riserve” che equivale a dire che i dollari per pagare le tasse e comprare i titoli di stato necessariamente “provengono” dalla spesa e/o prestiti del governo.
Non c’è modo di aggirare la situazione. Ogni emittente deve distribuire prima di poter poi raccogliere gli oggetti erogati, in quanto semplice esercizio di logica.

Riguardo al commercio, con un tasso di cambio flessibile c’è un “bilanciamento continuo”. Ad esempio, nel caso degli USA, con all’incirca 400 miliardi di dollari di deficit commerciale, si può affermare che possediamo i beni importati mentre i non residenti detengono 400 miliardi in più in attività finanziarie in dollari americani ricevuti in pagamento ed a questo punto abbiamo il bilanciamento risultante dalla “matrice” del tasso di cambio attuale.
Per cui vedo solo “bilanciamenti” in un dato momento, mai “sbilanciamenti” per quel che riguarda la logica. Sto scordando qualcosa? Se è così, anziché scrivere su qualsiasi possibile domanda si possa sollevare, posso chiedere ad ognuno di voi di darmi una spiegazione dei motivi per cui ciò è un problema, in modo da parlarne? Grazie!

“In una fase in cui il tema dell’inserimento di capitali esteri negli assetti proprietari e di controllo sembra travalicare l’ambito degli ultimi asset strategici in mano pubblica e arriva a lambire persino il sistema bancario, sarebbe bene fare molta più chiarezza, su questo punto.”

Sì, in qualsiasi momento vedo finalità pubbliche in materia di approvvigionamento a scopo strategico nazionale. Ad esempio, non vorreste esternalizzare la programmazione dei software militari che li renderebbe inutili in tempi di guerra. E io vedo scopi di interesse pubblico nella produzione di beni e servizi con finalità militari strategiche, come l’acciaio necessario alle armi e le fonti domestiche di energia, cibo etc. Di nuovo, il governo esiste per le infrastrutture pubbliche che servono finalità di interesse generale che includono la pianificazione strategica.

D’ altro canto, non vedo interesse pubblico nel non permettere ai non residenti di venderci una maggiore quantità di ciò che chiamiamo “beni e servizi di consumo” per i quali, ad esempio, una interruzione di approvvigionamento non comprometta l’esito di un conflitto.

Seguendo questo ragionamento, noto seri problemi nella dipendenza dell’eurozona dalla fornitura di energia dalla Russia, anche considerando le promesse russe di non interrompere mai l’approvvigionamento.
Se succedesse, una tazza di caffè a Roma vi costerebbe 20 dollari.

Per come la vedo l’eurozona paga un prezzo elevato nei commerci con la Russia e altri a causa di accordi che non vedo come servano l’interesse generale, sebbene certamente servano influenti interessi privati.

Ricordate, in termini economici, l’occupazione è un costo reale per il lavoratore, in quanto sta vendendo il suo tempo. Il beneficio reale è il prodotto. Quindi suggerisco di guardare al consumo reale con riferimento i membri della zona euro, per poter valutare i vinti e vincitori in termini economici. Ma comunque sì, ogni unione monetaria necessita di un sistema di perequazione fiscale, al fine di assicurare la piena occupazione e la stabilità dei prezzi. Suggerisco poi che la ragione per cui non accade sia per il fatto che vi è una vasta incomprensione sul fatto che per la regione a cui è assegnato di produrre beni e servizi [per il resto dell’unione, ndt] quel processo rappresenta un costo reale, in quanto gli occupati producono i beni reali e servizi che verranno però consumati dalle altre zone dell’unione. Invece, proprio a causa dell’arricchimento finanziario della regione, le altre regioni ne beneficiano in termini reali. In altre parole, i trasferimenti fiscali possono essere utilizzati per sfruttare le aree a maggiore disoccupazione e far produrre beni e servizi che vengono esportati nel resto dell’unione. E di qui si ritorna al discorso di export come costo reale e importazione come beneficio reale.

Lasciatemi concludere per oggi con un semplice argomento di teoria dei giochi: il mercato del lavoro non è un gioco equo, e se non supportati in qualche maniera, i salari reali stagneranno a livelli bassissimi. Questo perché le persone devono “lavorare per mangiare” mentre le imprese assumono solo se possono realizzare un ritorno sugli investimenti.

Secondo la mia opinione, calza con l’idea di interesse pubblico assicurarsi che le persone che attualmente lavorano per vivere, producendo beni e servizi consumati dalla popolazione, siano giustamente sostenuti con un alto livello di educazione, assistenza sanitaria ed altri servizi di pubblica utilità cosi come per la nutrizione, il diritto alla casa, il vestiario a livelli che facciano sentire orgogliosi di essere membri della società. Le proposte nel mio sito web intendono lavorare con questo fine.

Traduzione: Alessio Tartari, revisione Keynes Blog

Originale inglese: http://moslereconomics.com/2012/12/09/my-r...an-keynes-blog/
 
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