Economia e Potere

L'euro: non può esistere, è una cattiva idea, non durerà, [bellissimo articolo]

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Helettra
view post Posted on 24/6/2012, 10:18     +1   -1




S'intitola "L’Euro: non può esistere, è una cattiva idea, non durerà" questo magnifico contributo leggibile nel gruppo FB La finestra sul Web di DemocraziaMMT, che ha sostituito il "vecchio" gruppo IPGC:

https://www.facebook.com/groups/2732447127...74589925982174/


L’Euro: non può esistere, è una cattiva idea, non durerà

Traduzione di Daniele Basciu

Questo articolo riepiloga i risultati delle analisi di circa 170 economisti USA che tra il 1989 e il 2002 studiarono ed evidenziarono i difetti intrinseci nell'Euro, che si stanno manifestando nell'ultimo biennio ed erano ben visibili dall'inizio.
Gli autori dell'articolo, Jonung e Drea, lo concludono affermando che gli economisti USA si erano sbagliati, visto e considerato che l'Euro nel 2009 è ancora in vita. Un caso interessante di negazione della realtà, forse dovuto al fatto che uno dei due autori, Jonung dal 2000 lavora per la Direzione generale per gli affari economici e finanziari della Commissione Europea, come ricorda il Prof. A.Bagnai qui:
www.megachip.info/tematiche/democra...annunciata.html
E' sempre più evidente, alla luce di quello che è l'ultimo biennio, che i 170 economisti USA, fra cui diversi premi nobel, avevano ragione.L’Euro: non può esistere, è una cattiva idea, non durerà.

Gli economisti USA studiano l’euro, 1989 - 2002

The euro: It can’t happen, It’s a bad idea, It won’t last.
Lars Jonung and Eoin Drea
November 10, 2009
Traduzione: DB

Sintesi:
Lo scopo di questo studio è indagare come gli economisti USA, con la FED e con le università USA, guardarono all'unificazione monetaria Europea dalla pubblicazione del rapporto Delors nel 1989 all'introduzione di monete e banconote Euro nel Gennaio 2002.
La nostra analisi di circa 170 pubblicazioni mostra
a) che gli accademici USA si concentrarono sulla domanda “l'Unione monetaria Europea EMU è una cosa buona o cattiva?” usualmente adottando il paradigma delle aree ottimali di valuta come principale loro veicolo analitico
b) che mostrarono notevole scetticismo verso la valuta unica
c) gli economisti in seno all FED ebbero un approccio meno analitico e più pragmatico alla valuta unica rispetto agli economisti accademici, e
e) che gli economisti adeguarono i loro punti di vista e approcci analitici man mano che l'unificazione monetaria Europea progrediva. In particolare, è stato gradualmente introdotto l'approccio della valuta ottimale.

Troviamo sorprendente che economisti che vivevano e beneficiavano di un'ampia unione monetaria come il dollaro USA fossero così scettici sull'unificazione monetaria in Europa. Spieghiamo l'orientamento critico degli economisti USA verso la valuta unica sulla base di alcuni fattori: primo, la forte influenza della teoria originale dell'area valutaria ottimale sull'analisi USA, conducendo alla conclusione che l'Europa era lungi dall'essere un'unione monetaria ottimale; secondo, l'uso di un approccio statico astorico per studiare la unificazione monetaria comparando la piena ed effettiva unione monetaria USA con la precedenza dell'Europa all'unificazione monetaria, da questo punto di vista non riuscendo a vedere l'unificazione monetaria come processo evoluzionario; terzo, il non riuscire a identificare regimi di tasso di cambio fisso in Europa come l'alternativa alla valuta unica Europea; e quarto, il convincimento che la valuta unica per l'Europa fu principalmente un progetto politico che ignorava le fondamenta dell'economia, destinando così la valuta unica al collasso.

“Dal punto di vista scientifico l'euro è la cosa più interessante. Penso che sarà un miracolo – un miracolo un po'difficile. Penso che sia altamente improbabile che sia avviato ad essere un gran successo. Ma diventerà molto interessante vedere come funziona”.
Milton Friedman, 2000.

Introduzione

L'Euro sta festeggiando i suoi primi 10 anni. Al Gennaio 2009 l'Euro sta circolando in 16 stati membri della UE. Questo esperimento senza precedenti nell'unificazione monetaria è una pietra miliare nel processo di integrazione europea. Ad oggi, l'euro è emerso come valuta importante, mettendo alla prova il dollaro USA come valuta di riserva globale. In un periodo di tempo veramente breve, ha trasformato lo scenario politco e economico dell'Europa. Ma prima degli stati sovrani avevano deciso di concedere le proprie valute nazionali a una banca comune centrale, rinunciando alla sovranità monetaria. In breve, l'euro è uno dei più eccitanti esperimenti nella storia monetaria.
Come hanno visto la pianificazione per una valuta unica in Europa prima che l'Euro fosse messo in circolazione? Che tipo di predizioni hanno fatto riguardo il processo dell'unificazione monetaria UE? Che strutture teoriche hanno usato per valutare la moneta unica? Come si sono evolute le loro analisi in risposta agli eventi monetari europei? Lo scopo di questo lavoro è ottenere risorse a queste domande. Adottiamo la pubblicazione del rapporto Delors nel 1989 come la data di partenza per la nostra indagine e l'introduzione di monete e banconote € nel 2002 come data finale del nostro studio.

Esaminiamo i punti di vista di due gruppi di economisti – prima quelli della FED, e quindi quelli delle università USA, in breve gli economisti accademici – come espresse originariamente in articoli di giornale e contributi a libri. Ci concentriamo sugli economisti USA per due ragioni principali. Primo, hanno giocato un ruolo dominante nelal ricerca internazionale e nel dibattito politico intorno all'Euro. I loro punti di vista erano popolari su entrambe le sponde dell'Atlantico, impattando sul lavoro dei economisti Europei sull'unione monetaria europea e la valuta unica.
Grazie al peso e predominanza intellettuale della professione accademica USA, gli economisti USA hanno fissato i parametri della discussione accademica sull'unificazione monetaria europea.
Secondo, gli economisti USA, in contrasto con quelli Europei, vivevano in una ampia unione monetaria che era il dollaro USA, sperimentando benefici e costi di tale sistema monetario.
Dunque ci aspettiamo che loro utilizzino la storia monetaria USA per interpretare e valutare il cammino Europeo verso l'unificazione monetaria.

Ci concentriamo solo sugli economisti USA che vivevano negli USA negli anni '90 e osservavano l'integrazione monetaria Europea dalla sponda americana dell'Atlantico. Includiamo alcuni economisti nati all'estero che avevano trascorso le loro carriere principalmente negli USA, ma non includiamo gli economisti USA che lavoravano con organizzazioni internazionali, come ad esempio il FMI, dal momento che includerli avrebbe l'effetto di distogliere il focus di questo studio dall'evoluzione del pensiero economico USA nelle accademie e nella FED. Inoltre non prendiamo in considerazione i punti di vista degli economisti Europei: né quelli in Europa, né quelli che lavoravano negli USA. Certo, sarebbe d'interesse tener conto dei punti di vista degli economisti europei sull'unificazione monetaria europea. Tale studio, a ogni modo, è difficile da condurre, in quanto potrebbe interessare diversi paesi con contributi in altre lingue oltre all'inglese.
La nostra ricerca è basata su una ricerca estensiva sulla letteratura. Con riguardo algli economisti FED, noi abbiamo cercato di coprire il ventaglio di tutte le banche FED, le loro pubblicazioni e conferenze associate. Per gli economisti accademici, abbiamo fatto ricerca sulle riviste accademiche accreditate, conferenze, serie di “working papers” e abbiamo inoltre compreso interviste, dialoghi e articoli brevi nei media, e pagine web. La letteratura sul futuro dell'unione monetaria europea (EMU) è ampia. Inizio' con l'annuncio del primo piano per la creazione della valuta unica. Per una discussione su questo versante del lavoro, incluso il contributo Europeo, vedete fra gli altri Jonung (2002)
Siamo certi di non aver considerato tutte le pubblicazioni sulle quali ci saremmo potuti concentrare. Ma crediamo di considerare tutti i maggiori contributi e quelli che sono in grado di riassumere i punti principali del dibattito in modo rappresentativo.
Sebbene il progetto EMU abbia attratto interessi considerevoli negli USA, gli economisti USA continuavano a guardare all'integrazione monetaria europea come una campo di ricerca secondario, dove pochi economisti erano dominanti; e la maggior parte di costoro proveniva da economia e finanza internazionale. Alcuni di loro, come Barry Eichengreen, Martin Feldstein, Jeffrey Frankel e Peter Kenen trascorsero gli anni '90 sull'agenda EMU.
Per parte nostra, il periodo 1989-2002 è diviso in due fasi. La prima fase inizia con la pubblicazione del rapporto Delors, e termina con il summit di Madrid del Dicembre 1995, che fissa Gennaio '99 come data di partenza per il lancio dell'euro , l'irrevocabile blocco del tasso di cambio di parità delle valute degli Stati membri selezionate per l'adesione all'unione monetaria. A questo summit, alla valuta unica fu dato il suo nuovo nome, euro, in sostituzione della vecchia unità valutaria, l'Ecu.
La seconda fase parte dal seguito del summit di Madrid fino a Gennaio 2002, quando le banconote e monete euro furono immesse in circolazione nella zona euro. Vedete la tabella 1 per un sommario delle maggiori decisioni politiche dall'89 al 2002, che conducono alla creazione dell'euro. Un punto nodale nel dibattito ci fu nel 96-97, quando l'euro emerse come potenziale valuta futura. Dunque, negli anni dopo il summit di Madrid il carattere del dibattito negli USA cambio', così molta dell'incertezza concernente la valuta unica si attenuo', rendendo questa un'appropriata linea divisoria per la nostra discussione.
A ogni modo, la significatività della linea di confine tra le due fasi non dovrebbe essere esasperata. Né dovrebbe questo nascondere il fatto che la maggior parte della discussione negli USA fu guidata dagli eventi d'attualità sull'altro lato dell'Atlantico.
In tutto, le nostre conclusioni sono basate su circa 170 pubblicazioni, più di 130 delle quali provenienti da economisti accademici e circa 40 da economisti che lavoravano per il sistema FED. Vedete la figura 1 sulla frequenza coperta dalle pubblicazioni. Come dimostra la figura 1, ci sono due picchi: il primo attorno al 1993 in coincidenza con il trattato di Maastricht e la crisi ERM, il secondo intorno al 1997 durante la rincorsa all'introduzione dell'euro nel gennaio 1999

Questo studio è strutturato come segue: la Sezione 1 elenca prima il lavoro degli economisti FED, e quindi il lavoro degli economisti accademici sull’unificazione monetaria europea nel 1989-1996.
Similarmente, la sezione 2 offre un resoconto delle loro analisi nel periodo 1996-20005. La conclusione principale della nostra indagine è che molti economisti USA, scrivendo sulla valuta unica negli anni ’90, prima della nascita dell’euro, erano critici o scettici. Troviamo sorprendente questo dal momento che avevano vissuto e beneficiato da un’ampia unione monetaria, il dollaro USA. Perché non hanno considerato questo quando scrivevano di un’Europa divisa in molte piccole valute locali e con una storia di drammatici riallineamenti di tassi a cambio fisso? La Sezione 3 offre una risposta alla domanda emersa nella nostra indagine: Perché gli economisti USA erano così scettici? La sezione 4 conclude.

Il titolo del nostro report è ispirato da una classificazione di R.Dornbusch (2001) dei commentatori sull’euro come suddivisibili in 3 “campi”, che lui descriveva con le seguenti 3 descrizioni:
Non puo’ accadere, E’una cattiva idea, Non puo’durare.


1. Studiando le fondamenta della valuta unica, 1989-1996

Le analisi e commenti degli economist USA furono guidati dal processo di unificazione monetaria in Europa come schematizzato nella Tabella 1, partendo con il “Single European Act” siglato nel Febbraio 1986. L’atto mirava a completare il mercato interno entro il 31/12/1992 rimuovendo tutte le barriere al libero movimento di capitali, lavoro, beni e servizi fra gli Stati membri.

Seguendo questa decisione, quando il capital fu libero di muoversi tra i confine, era stato fatto un passo importante verso l’unificazione monetaria. Il rapporto Delors di Aprile 1989 raccomandava la creazione dell’EMU (Unione Monetaria Europea) in 3 passi. Il summit di Madrid del consiglio Europeo in Giugno 1989 stabilì il passo iniziale dell’EMU per il 1/7/1990
In Dicembre 1991, il Trattato di Maastricht fu siglato, ponendo le regole per la transizione all’unione monetaria in forma di un certo numero di criteri comuni di convergenza. In breve, questi erano basati su tasso di inflazione, tassi di interesse a lungo termine, aderenza al meccanismo dei tassi di cambio (ERM) del Sistema monetario europeo (EMS) per almeno 2 anni prima dell’ingresso, l’entità della spesa governativa a deficit e del rapporto debito/PIL. Il trattato di Maastricht mirava a una graduale convergenza per i futuri membri dell’unione monetaria.

Il processo di unificazione monetaria che conduceva al Trattato di Maastricht fu facilitato da alcuni sviluppi storici come la fine dell'URSS, la riunificazione tedesca, e lo sviluppo della stabilità del tasso di cambio nominale all'intrno dell'Europa, contribuendo a creare una finestra di opportunità irripetibile per andare verso la valuta unica.
Gli elettori Danesi repinsero il trattato di Maastricht in un referendum in Giugno '92, contribuendo a far esplodere la speculazione sul tasso di cambio tra l'autunno 1992 e il 1993. Gli stretti intervalli dei tassi dell'EMS alla fine furono abbandonati (Vedere Tabella 2 per un sommario sulla crisi ERM)
La crisi ERM fu vista da molti come compromettente I piani per la valuta unica. A ogni modo, l'impegno per l'unione monetaria rimase. Nel 1995, il Consiglio Europeo decise nel summit di Madrid riguardo la tabella dei tempi definitiva per l'introduzione della valuta unica, ora ufficialmente chiamata Euro, e fissò la partenza della fase 3 per l'1 Gennaio 1999. In quella data i tassi di cambio delle valute dei membri dell'unione monetaria furono irrevocabilmente bloccati insieme.Tre anni dopo le banconote e monete furono poste in circolazione in tutti gli Stati membri aderenti.

1.1 Economisti FED, 1989-1996
Gli eventi elencati in Tavola 1 e 2 ebbero forte impatto sugli economisti FED. Le loro discussioni coprirono due aree: la prima, il movimento verso un mercato unico e un'unione monetaria e, la seconda, dopo la ratifica del Trattato di Maastricht, la probabilità che la valuta unica adottata si consolidasse, che venne espressa come segue in un titolo: “EMU: riuscirà a volare?
La tavola 3 riassume le analisi degli economisti FED. A seguire, ci concentriamo sugli scritti importanti o rappresentativi pubblicati da FED e economisti accademici, piuttosto che dar spazio a ogni pezzo o scritto listato nelle tavole dei riferimenti bibliografici.

(1) Il percorso verso mercato unico e valuta unica.
Gli economisti FED predisposero un numero di resoconti dei fatti relativi alla marcia d'avvicinamento verso mercato unico e valuta unica, concentrandosi su dettagli istituzionali. Il loro scopo era descrivere a un pubblico Americano cosa stava accadendo in Europa, in alcuni casi considerando l'impatto dell'integrazione economica Europea sull'economia USA e sulle fabbriche USA. L'analisi economica nei loro scritti fu generalmente limitata. J.Boucher (1991) argomento' che la realizzazione del mercato interno dal Dicembre 1992 e dell'unione monetaria europea dovrebbero essere viste come due misure complementari. Una valuta comune dovrebbe beneficiare il mercato comune. Lei considerava l'unificazione monetaria come processo distinto dal mercato unico. La sua discussione era basata su uno schietto calcolo costi-benefici, che poneva il focus sui potenziali benefici. In uno studio simile, Linda Hunter (1991) esaminava gli effetti dell'eliminazione delle barriere doganali in Europa e le implicazioni di questo per gli Usa. Alla fine lei concludeva che il mercato interno avrebbe beneficiato I consumatori Europei e le fabbriche USA operanti in Europa.
Durante questo periodo, gli economisti FED generalmente considerarono come positiva la relazione tra mercato unico e valuta unica. Lee Hoskins (1989), M. Chriszt(1991,1992) e R.Glick(1991) tutti e tre conclusero che il completamento del mercato interno e il percorso verso l'EMU avrebbe conferito benefici economici significativi agli Stati membri nel lungo periodo. Glick (1991) evidenzio' come problema la mancanza in Europa di un sistema federale di tassazione, essendo basso il fattore mobilità in Europa. Il trattato di Maastricht pose le fondamenta per una discussione sulla futura organizzazione istituzionale dell'EMU. Usualmente questo discorso, come in P.Hildebrandt(1991) ritornava sui differenti passaggi verso l'unione monetaria. Hildebrandt (1991) identificava la possibilità che venisse applicato un approccio a “due velocità” all'EMU, a causa delle differenze
fra Stati membri. Adottando un approccio di politica economica, Carl Walsh (1992) era scettico riguardo la capacità della futura BCE (Banca Centrale Europea) di operare come autorità monetaria completamente indipendente. Dopo aver analizzato la storia delle unioni monetare R.Graboyles (1990) concluse riguardo EMU che “un'unione monetaria di successo richiede che i paesi coinvolti guadagnino dall'accordo di unione e questo richiede istituzioni che rafforzino l'accordo una volta raggiunto – conclusione piuttosto generica, lacunosa riguardo specifiche raccomandazioni su come EMU avrebbe dovuto essere orgnizzata.

(2) EMU – Spiccherà il volo?
Man mano che la pianificazione per la valuta unica continuava dopo la crisi ERM del 92-93, gli economisti FED orientarono la loro attenzione alla probabilità di costituzione della valuta unica. Gradualmente questa discussione riconobbe che la valuta unica avrebbe avuto anche implicazioni per il dollaro e il sistema monetario globale. P.Pollard (1995) valuto' i criteri di convergenza come erano fissati nel trattato di Maastricht. Dal momento che solo due stati membri (Germania e Lussemburgo) soddisfavano tutti i criteri nel 1994, lei concluse che la prospettiva che EMU diventasse pienamente operativo prima della fine degli anni '90 fosse remota. Nella sua analisi “basata sui 5 criteri di convergenza”, è quasi certo che la maggior parte dei paesi EU non sarà pronta per l'unione monetaria quando la conferenza intergovernativa è convocata nel 1996” L'introduzione della valuta unica nel '97 era impossibile da ottenere. Il pià probabile scenario era che EMU sarebbe stato posticipato di almeno 2 anni. Pollard (1995) concluse poi che, a meno che i criteri di convergenza fossero interpretati con più flessibilità, l'intero progetto EMU sarebbe stato significativamente ritardato. Acne dopo il summit di Madrid in Dicembre 1995, il concetto di una transizione a velocità differenziata verso l'unione monetaria fu considerato come opzione da Michel Aglietta e Merh Uctum (1996); sostenevano che tale transizione avrebbe coinvolto un piccolo di paesi costituenti il nucleo iniziale dell'unione monetaria, con altri paesi che si sarebbero uniti tempo dopo. L'idea di una transizione multipolare a EMU fu supportata da un modello sviluppato da Sean Craig. Le implicazioni per la posizione globale del dollaro com risultato dell'introduzione della valuta unica europea furono discusse a questo stadio inziale da K.Johnson (1994), M.Leahy(1994) e Hali Edison e L.Cole (1994). Essi ritenevano che la valuta unica non avrebbe rappresentato un pericolo per il dollaro nel futuro immediato. Analogamente, il precedente lavoro di G.Schinasi (1989) concludeva che un qualsivoglia tipo di valuta unica europea avrebbe potuto competere con il dollaro per lo status di valuta di riserva mondiale se una serie di punti cruciali fossero stati risolti.
Soprattutto, gli economisti FED si concentrarono sul descrivere il processo di integrazione economica e monetaria in Europa – solitamente in brevi note o poche pagine di lunghezza.
Mantennero una propensione positiva verso EMU e la valuta unica, anche quando percepirono che l'unione europea avrebbe dovuto essere probabilmente rinviata(16)

1.2 ACCADEMICI USA, 1989-1996
Gli economisti accademici si concentrarono sulla debolezza e i problemi nel processo di integrazione monetaria, di solito in lunghi articoli corredati di modelli e test econometrici.
Erano fortemente ispirati dall'approccio “OCA” - Area valutaria ottimale, di Robert Mundell (1961). Spesero un grande sforzo nel portare la teoria OCA ad avere relazione con la fattibilità e desiderabilità di una valuta unica, dove vennero posti in essere tentativi di misurare quanto serrati gli stati membri UE (o una loro parte) fossero riguardo un'unione monetaria ottimale intesa in senso di soddisfare i vari criteri OCA.
Il dibattito accademico USA in questo periodo si sviluppo' con quattro punti principali, sebbene molti contributi andassero a toccare più di un punto per volta:
1-Trattato di Maastricht
2-Teoria OCA
3-Federalismo fiscale e altre lezioni apprese dall'esperienza fiscale e monetaria USA
4-Economia politica in EMU
Essendo questi punti strettamente correlati reciprocamente, è difficile tracciare linee di distinzione tra di loro.

Nonostante questo, utilizziamo questa classificazione degli argomenti per semplificare il sommario dei tanti contributi

(1) Il Trattato di Maastricht
Il trattato di Maastricht ispiro' una gran dibattito. Un elemento chiave del dibattito nei primi anni 90 riguardò l'approccio a velocità variabile all'EMU, riflettendo il punto di vista che se EMU fosse sul punto di essere realizzata, allora la più percorribile strategia per ottenere l'integrazione monetaria era permettere agli Stati Membri l'ingresso nell'unione monetaria in differenti momenti nel tempo. Dornbusch (1990), Peter Kenen (1992), Tamim Bayoumi e Barry Eichengreen (1993) e John Letiche (1992), fra gli altri, conclusero che c'era da aspettarsi un approccio multivelocità, sebbene con lievi differenti combinazioni degli Stati Membri. Letiche (1992) concluse che il più probabile scenario sarebbe stato l'istituzione di una valuta unica basata su due o tre raggruppamenti di paesi abbinati sulla base della loro capacità di soddisfare i criteri di convergenza, con ogni gruppo che avrebbe implementato un differente piano temporale di ingresso nell'unione monetaria(17)

Molti economisti accademici posero la questione della logica economica dietro i criteri di convergenza del Trattato di Maastricht(18). Per esempio, Kenen (1992) fu critico sul criterio di convergenza per stabilità del tasso di cambio, temendo che potesse causare una svalutazione da parte di alcuni Stati membri precedente all'ingresso nell'unione monetaria(19)
I criteri di convergenza fiscale e le previsioni del Trattato per un coordinamento delle politiche fiscali mediante l'approntamento di un sistema di sorveglianza sulle politiche nazionali piuttosto che la formulazione di politiche collettive fu altra fonte di dibattito (20)

Valutando la previsione di “deficit eccessivo” del Trattato di Maastricht, Frankel (1993) suggeri' che “ la membership EMU, anche se non intrinsecamente connessa ai deficit fiscali, avrebbe potuto essere intesa come un premio o incentivo per un buon comportamento fiscale”. Lui vedeva le disposizioni fiscali del Trattato di Maastricht come un “test di volontà” progettato per permettere agli Stati Membri di esprimere quanto fortemente volevano diventare membri EMU (21)

Il rifiuto Danese del Trattato di Maastricht nel Giugno '92 e la crisi ERM nel 92-93 contribuirono a una visione pessimistica della tabella di marcia di Maastricht(22). La crisi ERM sollecitò il numero dei commenti. Fu vista come il risultato dell'armonizzazione incompleta delle politiche economiche nazionali, come discusso da W.Branson (1993) e Dornbusch (1993), e come esemplificatrice delal vulnerabilità dei tassi di cambio bloccati nel affrontare autonomamente attacchi speculativi come analizzato da B.Eichengreen e C.Wyplosz (1993)
Seguento il rifiuto danese al Trattato di Maastricht, Eichengreen (1992b)- riconoscendo i benefici dalla UE – suggerì una serie di modifiche al trattato con l'obiettivo di assicurare che i costi dell'unione monetaria fossero superati dai benefici. Eichengreen (1994) mise l'accento sul fatto che la lacuna del Trattato di Maastricht nel prevedere misure di federalismo fiscale poneva seri problemi. B.Eichengreen e J. Von Hagen (1996) richiamarono il punto di vista che restrizioni nell'indebitamento erano un mezzo appropriato per prevenire l'eccessivo indebitamento da parte degli Stati membri (23).
Considerando scenari potenziali per il futuro EMU negli sviluppi post-crisi ERM, B.Eichengreen e J.Frieden (1994) sostenevano che un EMU comprendente tutti e 12 gli Stati dal 1999 era improbabile si verificasse. Lo scenario più probabile sembrava loro l'istituzione di un “mini-EMU” fuori dall'ambito del Trattato di Maastricht, comprendente Francia, Germania e alcuni dei più piccoli Stati del Nord Europa. Riconobbero il percorso politico periglioso
di tale scenario (24). La Tavola 4 elenca le analisi degli economisti accademici.


(2) Teoria dell'area valutaria ottimale (AVO)
La maggior parte della ricerca sulla valuta unica fu ispirata dalla teoria dell'area valutaria ottimale (AVO) come sviluppata da R.Mundell e altri negli anni '60 e '70 (25). L'approccio originale AVO guarda a due regioni (paesi) poste di fronte alla scelta tra un tasso di cambio permanentemente fisso (unione di valuta/unione monetaria) e un tasso di cambio pienamente flessibile. La scelta si presenta come un trade/off tra l'incrementata efficienza nelle transazioni transfrontaliere risultante dall'uso di una valuta unica e la perdita macroeconomica dell'indipendenza della politica monetaria attraverso la rinuncia alla valuta nazionale. Un calcolo costi-benefici determina la selezione del regime di tasso di cambio preferito.
Il paradigma AVO fu adottato per per esaminare la misura in cui gli stati Europei soddisfarono un set di criteri di ottimalità come, tra gli altri, apertura del commercio, fattore mobilità, incidenza degli shocks asimmetrici. Uno studio di Bayoumi e Eichengreen (1993) che sviluppo' questo approccio, ebbe un forte impatto sul dibattito, ispirando poi molto lavoro. Utilizzo'anche uno schema per comparare l'economia Europea con quella USA, in cui gli USA erano usati come punto di riferimento per una unione monetaria funzionante con successo(26).
Eichengreen (1991) trovo'evidenza che la reale varibilità del tasso di cambio era 3 o 4 volte più elevata dentro la UE rispetto che all'interno degli USA. Inoltre rilevo' una più grande correlazione degli shocks in NordAmerica piuttosto che in Europa. Usando stime da serie storiche delal disoccupazione regionale, Eichengreen (1990-91) stabilì che la mobilità del lavoro era molto più grande dentro gli USA che in Europa. Interpreto' questi risultati come un'indicazione che l'Europa era piuttosto lontana dall'essere un' area valutaria ottimale quanto lo erano gli USA.
La conclusione generale d iquesto lavoro basato sullo schema AVO fu che l'Europa stava indietro agli USA in termini dell'essere una adeguata unione monetaria (27)

(3)- Federalismo Fiscale e lezioni dall'esperienza USA
Molti economisti si concentrarono sulla capacità del sistema USA di provvedere a una redistribuzioen federale fiscale per compensare gli shock locali asimmetrici e sulla assenza di tale meccanismo nell'UE. Xavier Sala y Martin e J.Sachs (1991) conclusero, dai dati USA, che ogni riduzione nel reddito pro capite in una regione pari a 1 $ causava un decremento di 34 centesimi nelle tasse federali dalla regione e un incremento di 6 centesimi nei trasferimenti federali alla regione. Così negli USA la variazione totale nel prelievo fiscale federale ammonta al 40% di un dollaro di diminuzione nel reddito individuale.
Similarmente, T.Bayoumi e P.Masson (1991) conclusero che la struttura federale USA compensava il 28% di ogni dollaro di diminuzione nel reddito regionale. R. Inman e D.Rubinfeld (1992) comparando EMU con gli USA, trovarono che “con una politica monetaria centralizzata, una poltica fiscale sostitutiva per alleviare il gravame di specifici shock economici è necessaria”. Questi studi sottolinearono che i trasferimenti fiscali, qualunque fosse la figura precisa coinvolta, compensavano parzialmente gli shock asimmetrici regionali negli USA (28)

Eichengreen (1990b) in un'analisi dettagliata delle potenziali indicazioni per EMU provenienti dall'esperienza USA, concluce che l'integrazione monetaria avrebbe limitato l'indipendenza fiscale. Argomento' che lo sforzo dei trasferimenti fiscali nella UE avrebeb dovuto eccedere significativamente lo sforzo dei trasferimenti negli USA, per avere successo, in quanto gli shock regionali erano significativamente maggiori negli stati membri EMU piuttosto che negli stati USA.

R. McKinnon (1994) considero' l'esperienza USA ponendo il quesito “Uno standard valutario comune o una valuta comune per l'Europa?” Lui rispose che “poichè rispetta la necessità fiscale di tenere le banche centrali e le valute nazionali in esercizio nei paesi altamente indebitati dell'Europa, è preferibile uno standard monetario comune piuttosto che una valuta unica. Concluse che un'unione monetaria non era l'opzione preferibile per l'Europa.

Riassumendo, gli accademici USA suggerirono che l'Europa avrebbe affrontato maggiori problemi di aggiustamento nel caso in cui fosse stata introdotta una valuta unica (29)

(4) La politica economica di EMU
Il dibattito accademico USA identifico' in uno stadio embrionale l'inseparabile natura dei processi di unificazione economica e politica nel processo di unificazione monetaria Europea. Per esempio Eichengreen and Frieden (1994) sottolinearono che “la decisione di creare una valuta unica e una banca centrale non è presa da un pianificatore sociale benevolo che soppesa costi e benefici delle nazioni partecipanti. Piuttosto, è il risultato di un processo politico di trattati negoziati, ratifiche parlamentari e referendum popolari(30)
Questa percezione dell'integrazione monetaria europea come processo naturalmente politico ispiro' un allontanamento da un calcolo costi-benefici puramente economico basato sull'approccio AVO e un avvicinamento in direzione di sicurezza politica e relazioni internazionali..
Incertezza e timore riguardo gli effetti politici del processo di integrazione Europea guidò molti alla questione della desiderabilità di EMU. Questo è illustrato da Dornbusch(1996B) che sostenne che “pur approvando l'evoluzione del mercato comune europeo, gli USA sono timorosi riguardo EMU. Dapprima fu visto come contributo a prosperità e stabilità politica. In un secondo momento è visto come portatore di un alto rischio di alimentazione di recessione e disordini politici.”
Nei primi anni 90 Feldstein (1992 a,b) propose uno scenario pessimistico per EMU – uno scenario che lui sostenne per tutto il periodo che noi stiamo studiando. Argomentò che gli effetti politici avversi dell'unione monetaria Europea sarebbero stati ben distanti dall'essere più consistenti di qualsiasi beneficio economico netto della valuta unica.
Sottolineando gli aspetti di sicurezza, mise in dubbio l'affermazione che la Germania sarebbe stata “contenuta” in un governo europeo più ampio; credeva tra l'altro, che fosse altamente improbabile che UK, Francia e gli altri paesi d'Europa avrebbero voluto formare un governo continentale, in cui la Germania avesse la popolazione più ampia e l'economia più forte,come strada per limitare il futuro potere della Germania o l'esercizio militare di tale potere. Argomentò che era altamente improbabile che l'Europa avrebbe iniziato il 21o Secolo con un'unione monetaria di successo in esercizio

Punto di vista simile fu espresso da A.Schwartz (1993). Quando le fu richiesto se lei pensasse che EMU sarebbe stata realizzata, replico' che “niente di cio' che è accaduto negli anni passati suggerisce che il grande piano dell'implementazone dell'unione monetaria sia probabilmente sul punto di essere raggiunto. Io non vedo soddisfatte le condizioni base per il successo. Io penso che se tu vedessi realizzarsi una unione politica, allora potresti vedere l'unione monetaria” Il ruolo dei politici nella creazione dell'unione monetaria fu preso in considerazione da B.Cohen (1994) in una ricerca storica. Identificò le due cruciali caratteristiche politiche comuni alle unioni valutarie sostenibili nel suo studio: 1) la presenza di uno stato dominante “volonteroso e capace di usare la sua influenza per tenere un'unione valutaria effettivamente funzionante” e 2) la presenza di “una più ampia costellazione di legami relati e obblighi sufficienti a rendere la perdita di autonomia monetaria, qualsiasi sia la grandezza della prospettiva di aggiustamento costi, vista di base accettabile a ciascun partner”. La sua conclusione era che la sostenibilità della valuta unica era basata sulla volontà politica degli Stati membri.
Il dibattito sull'economia politica di EMU durante questo periodo consolidò due gruppi di analisi.
Un gruppo di economisti, come Dornbusch e Feldstein, era convinta che il prezzo politico necessario per EMU fosse una prova troppo dura per istituire una valuta unica. Un secondo gruppo guardo' a EMU come un altro passo nel processo di integrazione Europea(31). Un piccolo sforzo fu dedicato all'improbabile caso dell'istituzione di una valuta unica in Europa senza ulteriore integrazione politica (32)

2. La strada verso l'Euro, 1996-2002
Al summit di Madrid in Dicembre 1995, il Consiglio Europeo decise sulla tabella di marcia finale per il lancio dell'euro. In maggio 1998, il Consiglio Europeo selezionò i paesi che avrebbero adottato l'euro in Gennaio 1999 – il terzo e finale passaggio del processo EMU. Con questi passaggi, il piano per la nuova valuta era decisamente fissato.

2.1. Economisti Federal Reserve, 1996-2002
L'adozione ufficiale della data dell'introduzione euro marco' un confine nell'analisi in ambito FED(33). Da questo punto in poi la nuova valuta Europea fu considerata come un dato di fatto, o comunque un esito veramente probabile.
Il dibattito nella seconda metù degli anni 90 fu incentrato
1 - sul progetto del sistema europeo della banche centrali
2 – Costi e benefici di EMU
3 – l'impatto dell'euro sulla posizione del dollaro e le implicazioni per la relazione USA-Europa

(1) Architettura del sistema ECB
Gran parte della discussione USA sul progetto del sistema europeo delle banche centrali (ESCB) si basò sul paragone con la FED. Per esempio M.Wynne (1999a) mise in chiaro la differenza tra sistema delle banche centrali Europeo e USA con riguardo al mandato politico, la concentrazione di potere e le strutture decisionali (34). La strutturazione decisionale decentrata dell'ECB – con l'executive board in permanente minoranza nel consiglio di governo, e il fatto che tutti i governatori delle banche centrali hanno un voto in tutte le decisioni politiche del Consiglio di Governo – fu comparato alle strutture di potere più concentrato nell'esistente FED, dove il Board dei Governatoru ha la maggioranza permanente nel Federal Open Market Committe (FOMC) con una partecipazione a rotazione della Regional Reserve Bank. Il board dei Governatori inoltra ha potere significativo con riguardo alla supervisione degli atti delle banche regionali e i processi pianificati(35). Di contrasto, l'articolo 11 dello statuto ESCB garantisce il controllo del Consiglio di Governo sull'Executive Board.
Wynne (1999a), M.Goodfriend(1999) e Ellen Meade e N.Sheets(1999) tutti identificarono che ESCB aveva una distribuzione del potere equivalente alla FED prima dell'adozione del Federal Reserve Act del 1930 (36). Wynne (1999a) ha argomentato che un mandato ben definito della ECB avrebbe aiutato la sua credibilità di lungo termine, ma la ampia diffusione del potere potrebbe ostacolare la risoluzione di futuri conflitti fra interessi nazionali. Entrambi Wynne (1999a) e M.Goodfriend (1999) identificarono ESCB come avente una distribuzione di potere equivalente alla FED prima dell'adozione del Federal Reserve Act del 1930.
I due pilastri della strategia ECB, con il suo simultaneo focus sulla stabilità dei prezzi e stock monetario, stimolarono un notevole dibattito (37)
Le conclusioni tracciate furono miste. C.Bertaut e M.Iygium (1999) sostennero che “la scelta della ECB di un approccio flessibile alla politica monetaria era pragmatica. La necessità per la ECB di essere flessibile nel breve termine rende meno trasparenti le sue politiche”. A ogni modo Wynne(1999a) mise in guardia sul fatto che “la adozione di una strategia mista potrebbe sembrare incapace di difendere lo scopo di articolare una strategia principale”
M.Goodfriend (1999) e J.Wrase trovarono ECB affidabile e trasparente. A ogni modo J.Little (1998) contesto' che, sebbene fosse richiesta la presenza di ECB di fronte al Parlamento Europeo, e nonostante la disponibilità dei membri del comitato esecutivo a rispondere al Parlamento su base trimestrale, ECB avrebbe ancora sofferto un significativo deficit di responsabilità, dal momento che nessun corpo politico ha l'autorità di abolire la ECB.
E.Meade e N.Sheets (2002) trovarono che i policymakers della FED tenevano in conto la disoccupazione regionale nel decidere le politiche monetarie.
Applicando questo risultato a ECB, sottolinearono la possibilità che i banchieri centrali, incontrandosi in Francoforte, potessero essere nazionalmente non obiettivi nel permettere che considerazioni regionali influenzassero la politica monetaria dell'eurozona. Conclusero che le influenze regionali di tutti i policymakers dovessero essere considerate in ogni dibattio sulle potenziali riforme del Consiglio di Governo ECB.
Ci fu unanime accordo riguardo l'indipendenza della ECB. Little(1998), Goodfriend (1999), Wrase(1999) e Wynne (1999) tra gli altri concordarono che l'alto grado di indipendenza ottenuto da ECB fosse foriero di una performance di lungo periodo di bassa inflazione e buona credibilità. Wynne (1999) e Wrase (1999) alludettero che il fatto che entrambi i membri dell'Executive board con termine di 8 anni non rinnovabile) e i governatori delle banche nazionali centrali (con 5 anni di mandato rinnovabile) fossero nominati per termini temporali relativamente lunghi, rafforzando così l'indipendenza della banca centrale. A ogni modo alcuni studi individuarono l'ambiguità nel trattato di Maastricht riguardo la politica del tasso di cambio come maggior potenziale minaccia all'indipendenza della ECB. Questa ambiguità potrebbe potrebbe accendere un conflitto fra stabilità del tasso di cambio e stabilità dei prezzi(39)

(2) – Costi e benefici di EMU
La discussione nella FED concernente i costi e benefici dell'unione monetaria europea segui' le linee del dibattito accademico standard sui vantaggi di un cambio a tasso fisso. Ed Stevens (1999) per esempio individuo' i costi di partecipazione in termini di accettazione di un tasso ancorato come più che compensati, nel lungo periodo, dall'eliminazione dei costi delle transazioni, dall'incrementata trasparenza del processo di ricognizione dei prezzi e dalla riduzione dell'incertezza del tasso di cambio (40)
G. Eudey (1998) considero' i pericoli potenziali associati con un regime di cambio permantemente fisso (unione monetaria). Riconobbero che la perdita di una politica monetaria indipendente per contrastare shocks asimmetrici necessitava aggiustamenti da farsi “attraverso cambi nei salari o la mobilità dei lavoratori da un paese all'altro”. Il successo di lungo termine della valuta unica sarebbe dipeso dal grado in cui prezzi e salari sarebbero stati flessibili e dalla capacità del lavoro di muoversi tra i confini nazionali. Lei suggerì che i paesi membri avrebbero potuto trovare necessario istituire una tassazione internazionale e politiche redistributive attraverso lo sviluppo del bilancio della UE per permettere differenze regionali nelle politiche di stimolo o restrizione.
L'unione tra politica monetaria di ECB e politica fiscale fu studiata tra gli altri da J.Jordan(1997). Lui studiò come la posizione fiscale totale di tutti gli Stati Membri andava probabilmente ad avere conseguenze sulla credibilità della valuta comune. Nella sua opinione, la capacità delle autorità fiscali nazionali di mantenere una disciplina rigorosa avrebbe alla fine determinato il successo o fallimento della valuta unica. La “separazione di politica monetaria dalla condotta delle politiche fiscali metterà vincoli stringenti sugli stati membri (41)

(3) Impatto dell'Euro sul dollaro.
In un discorso del 1997 sulle prospettive degli USA su EMU, l'allora presidente della Banca FED NY, McDonough, affermo' che “sarebbe un errore pensare che gli USA guardano a questa prospettiva con apprensione, come l'introduzione dell'euro potesse in qualche modo compromettere la capacità USA di continuare a commerciare e condurre transazioni finanziarie con il resto del mondo”(42). Nella sua opinione, l'euro avrebbe avuto solo un impatto sul dollaro come predominante mezzo di scambio nelle transazioni finanziarie nel lungo periodo: “sembra certo dare per assunto che cambi significativi nel ruolo internazionale del dollaro e del funzionamento del sistema valutario mondiale potrebbero avvenire solo gradualmente e sicuramente con modalità tali da potere essere agevolmente sostenibili”. Sembra che questo sia stato il punto di vista generale dentro la FED nei tardi anni '90.
la ricerca FED sulal relazione dollaro-euro fu largamente fondata su revisioni della funzione delal valuta di riserva internazionale. Esaminando i primi 2 anni dell'euro, Pollard (2001) notò un piccolo cambiamento nel ruolo del dollaro come vincolo di cambio per paesi terzi o come valuta di riserva mondiale preferenziale.In concomitanza con l'analisi di McDonough (997) secondo cui l'emergere dell'euro come valuta realmente internazionale e “compagno” del dollaro puo' essere raggiunto solo gradualmenteù. Pollard (2001) riconobbe che la posizione del dollaro come valuta internazionale guida dipendeva prima di tutto dalla capacità degli USA di evitare crisi finanziarie e mantenre robuste performces economiche. Entrambi McDonough (1997) e Pollard (2001) conclusero che l'istituzione con successo dell'euro nei mercati finanziari e il completamento di EMU apre un vasto ventaglio di nuovi benefici per le imprese USA in commercio e finanza.
Le conseguenze dell'euro per il dollaro come valuta globale furono esaminate da D.Gould e F.Signalla (1997). Videro l'introduzione dell'euro come probabile fattore di un calo significativo nella detenzione internazionale di dollari. Justin Marion identifico' nel 1998 un mercato più ampio e la rimozione di ostacoli per commerciare liberamente entro i confini EU come i futuri benefici dell'unione monetaria Europea per il business USA. Credeva che la posizione del dollaro come valuta preferita era improbabile che sarebbe stato soppiantato nel breve-medio periodo dall'euro “perchè il dollaro ha una storia solida come riserva valutaria ed è così ampiamente usato e accettato, è improbabile che sia soppiantato come valuta di riserva in qualsiasi momento nel breve”. A. Zaretsky (1998), così come Gould e Singalla (1997), sostenne che l'impatto dell'euro sul sistema mondiale finanziario restava altamente incerto e dipendeva solamente dalla percezione degli invesititori del successo o fallimento dell'unione monetaria europea dopo l'introduzione della valuta unica. G.Dwyer e J.Lothian (2002) conclusero che il rimpiazzamento del dollaro ad opera dell'euro è dipendente tra le altre cose dalla stabilità delle istituzioni monetarie europee. Le analisi pubblicate degli economisti nella FED riguardo EMU durante questo periodo erano congruenti con le posizioni ufficiali del governo USA, che sosteneva che l'introduzione dell'Euro avrebbe di poco alterato la forza relativa e la posizione del dollaro nel breve periodo (43). La tendenza della seguente amministrazione USA fu di accogliere la creazione della valuta unica nella UE e riconoscere che “l'euro non è probabile causa di repentino declino nell'uso del dollaro come valuta internazionale nel vicino futuro, e ogni allontanamento dal dollaro sarà graduale”(44). La posizione USA governativa fu che l'euro era un segno di progresso a opera della Unione Europea.


2.2. Economisti accademici USA 1996-2002
Le analisi degli economisti accademici furono influenzate, come quelle FED, dall'inizio della valuta unica pianificato per il 1/1/99.
Lo scenario di “non puo'accadere” scomparve dal dibattito mentre le argomentazioni fondate su “è una cattiva idea” e “ non puo'durare” come identificate da Dornbush (2001a) rimasero in agenda. Il dibattito si incentrò sulle seguenti 3 linee distinte ma altamente correlate
1) politica versus economia in EMU
2) l'area euro come area valutaria non ottimale
2) l'euro come sfida al dollaro


(1) Politica versus economia in EMU

Come divento' più certo che la valuta unica sarebbe stata istituita, ci fu un inasprimento della divisione tra economisti favorevoli a EMU e quelli che invece erano critici. Alcuni, come Feldstein, sostenevano con forza che EMU avrebbe provocato una “responsabilità economica” con conseguenze economiche soprattutto negative: imporre un tasso di interesse unico e tassi di cambio fissi su paesi caratterizzati da salari rigidi, bassa mobilità del lavoro e assenza di redistribuzione fiscale centralizzata avrebbe ottenuto nient'altro che un incremento del livello della dioccupazione ciclica tra i membria dell'area valutaria unica (45)
Feldstein vedeva EMU come uno strumento economico per i leader politici in Europa per favorire la loro agenda per una unione federalista, come primo passo nella creazione degli Stati uniti d'Europa con una singola politica estera e militare. Considero' questo costrutto come foriero di un impatto destabilizzante sull'Europa e sulla pace mondiale. A suo parere gli interessi politici nazionali in Francia e Germania predisposero la forza guida dietro EMU: per la Francia in termini di vedere EMU come un meccanismo per guadagnare uguaglianza verso la Germania, e per la Germania in ottica di una sempre più profonda integrazione politica e fiscale (46)
Considerando le conseguenze di lungo periodo della valuta unica Feldstein (1997)concluse che l'inevitabile contesto di leadership tra Germania e Francia per l'influenza dominante su EMU avrebbe avuto il solo effetto di esacerbare le tensioni tra gli Stati membri. Credeva che la sostenibilità di lungo periodo di EMU sarebbe dipesa dal suo contributo alla sicurezza politica di lungo periodo piuttosto che dal suo successo economico.
In sua opinione, la dissoluzione dell'Europa e il conflitto con gli USA non sarebbero stati esiti da escludere a priori. In un filone similare, Calorimis (1998) suggeri' che il collasso di EMU sarebbe stato probabile, dovuto alla debolezza strutturale delle economie UE, in particolare la potenziale futura insolvenza del sistema pensionistico e la fragilità del sistema bancario.
Frieden (1998) suggeri' che la ratio di adesione all'euro degli Stati membri fosse preponderantemente politca. Identificò 3 fattori primari dietro il desiderio degli stati membri di aderire:
a) paura di restare fuori dall'istituzione di una UE centralizzata
b) paura di perdere il supporto della comunità d'affari panEuropea
c) paura delle conseguenze economiche del perdere il beneficio di molti anni di duro lavoro per ottenere l'ingresso nel club monetario europeo.
In un'analisi correlata, Eichengreen (1998) argomento' che la paura della Germania riguardo l'inflazione avrebbe rallentato il processo di integrazione politico-monetaria e fornito un'applicazione più permissiva dei criteri del Patto di Sviluppo e Crescita, in tal modo sostenendo il processo di integrazione di lungo termine europeo.
In modo simile, A.Sccheartz(2001) vedeva la decisione di procedere con una unione monetaria prima della creazione di strutture politiche più integrate come riflesso di una mancanza di consenso tra gli stati membri UE riguardo le modalità di una unione politica più profonda – ad esempio se uno stato federale o una comunità di stati nazione (47)
Willet (2000) studio'EMU come meccanismo per favorire il processo di integrazione politico-economica che aveva avuto inizio nel 1950. Vedeva EMU come progetto politico guidato da analisi economiche errate, con limitati benefici economici per i potenziali membri (48)
Obstefeld (1997) offrendo un'analisi critica dei costi e benefici dell'unione monetaria in Europa concluse che sebbene la membership a EMU fosse altamente vulnerabile agli shocks asimmetrici, eMU avrebbe potuto avere successo economicamente. Questo avrebbe potenziato grandemente il processo di integrazione Europe e generato benefici politici e sociali in futuro. In aggiunta, credeva che il successo economico dell'euro sarebbe stato l'apripista per l'integrazione politica (49)
Eichengreen (1996) sostenne che “EMU avrà luogo che i policymakers si convincono che la stabilità valutaria è l'unica via per consolidare il mercato unico e che l'unione monetaria è l'unica via per garantire stabilità valutaria. Avrà luogo se qui esiste esiste un “pacchetto” realizzabile in cui la Francia ottiene EMU e la Germania ottiene un incrementato ruolo di politica estera nel contesto di una politica estera UE (50)
Secondo Peter Kenen (1998) l'atteggiamento USA verso EMU era fortemente influenzato dalle parole e le azioni degli attori ufficiali europei coinvolti nel processo di integrazione monetaria europea. Sosteneva che “gli americani tendono a valutare EMU nella luce delle loro percezioni. Poiché loro sentono ripetutamente che EMU è un progetto politico – un veicolo per promuovere integrazione politica ed economica – concludono che non c'è ratio economica per EMU. Kohl ha fatto alcuni stravaganti proclami per EMU – a cui lui potrebbe magari credere per davvero – e questi hanno ispirato stravaganti riflessioni dalla mia parte dell'Atlantico”
Nel Dicembre 98, sul punto del lancio dell'Euro, Krugman riassunse lo stato dell'opinione corrente come segue: “per sette lunghi anni dal momento in cui l'accordo del trattato di Maastricht pose l'Europa sulla strada della valuta unificata, i critici hanno messo in guardia sul fatto che il piano era un invito ad un disastro. Inoltre lo scenario per un collasso EMU è stato discusso così tante volte che alcune volte sembra agli euro-appassionati come me come se fosse già successo” Tale sguardo pessimistico era probabilmente incoraggiato dalla propensione degli economisti USA a vedere l'euro come un progetto politico guidato da motivi oscuri e basato su una fondamento istituzionale insoddisfacente.

(continua)

Edited by Arianna… - 18/3/2013, 21:10
 
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(2) L'area Euro come area valutaria non-ottimale
Tobin (1998) elaborò una visione concisa dei fattori sottostanti lo scetticismo di molti degli economisti USA verso EMU: l'assenza di un'autorità per la redistribuzione fiscale centralizzata, salri rigidi e obiettivi di politica monetaria che non tengono conto del tasso di occupazione, produzione o sviluppo. La sua conclusione che l'area euro è “molto meno equipaggiata” rispetto all'unione monetaria USA per concludere un accordo con shock asimmetrici potenziali interregionali o più ampi rifletteva l'iniziale convinzione USA che vedeva l'area euro come area valutaria non ottimale.
Allo stesso modo Salvatore (1997) concluse che a causa della limitata mobilità del lavoro degli Stati membri e l'inadeguata redistribuzione fiscale come maggior shock asimmetrico che avrebbe schiantato l'intera area euro (51)
A ogni modo, nella seconda metà degli anni 90 la discussione sull'unificazione monetaria europea inizio' a slittare dall'indagine sul soddisfacimento dei criteri AVO da parte dell'euro area (di solito con comparazioen rispetto all'unione USA del dollaro) verso uno sguardo più critico rispetto all'utilizzo della teoria AVO nel valutare costi e benefici della unificazione monetaria.
Questa teoria realmente rende disponibile una struttura adeguata per considerare meriti e demeriti dell'unione monetaria UE? Gradualmente stava emergendo una risposta negativa.
Le obiezioni più solide all'uso standard del paradigma OCA nel valutare la sostenibilità futura dell'euro furono sviluppate in una serie di articoli di Frankel e Rose (1996,1997,2000). Argomentarono che i criteri AVO dovrebbero esser visti come endogeni. Una volta che un paese diventa membro di una unione monetaria, la sua economia si adegua alla nuova condizione. La membership in una unione monetaria è come dare una spinta al commercio all'interno dell'unione e così incrementare la correlazione dei cicli di business nazionale, vincolandolo più strettamente a soddisfare alcuni dei criteri OCA. Il lavoro empirico di Frankel e Rose diede forte supporto a questa interpretazione. Le loro conclusioni misero in guardia contro un'applicazione meccanica dell'approccio AVO, approccio che giudica la compatibilità di un paese con la membership in una unione monetaria.
Bayoumi Eichengreen e Von Hagen (1997) rivedendo la letteratura su EMU e AVO, conclusero che con “la teoria AVO, pur avendo disponibile un paradigma utile per la ricerca e d'aiuto per strutturare il dibattito su EMU , resta difficoltoso stimare costi e benefici del progetto”. Questa conclusione supportava i risultati di Bayoumi e Eichengreen (1997) e del solo Eichengreen (1996) che la funzionalità della teoria AVO per valutare EMU fosse severamente limitata dalla difficoltà di rendere strumento operativo il corpo di questa teoria (52)
Associato con questi risultati, Dornbusch (1997) mise in chiaro che la concentrazione del dibattito sui criteri fiscali diventa ridondante una volta che viene creata una banca centrale con un mandato specifico. Per converso, McKinnon vedeva EMU come la perfetta opportunità per imporre restrizioni alla capacità degli stati membri di spendere a deficit, in tal modo ottenendo un ritracciamento fiscale.
Kenen (1998) sostenne che il dibattito su EMU basato sulla teoria AVO fosse fuorviante, in quanto l'approccio AVO concerneva la scelta tra cambio flottante e fisso, laddove i membri della UE fossero stati messi di fronte alla scelta tra i tassi quasi-fissi dello SME e l'Euro. A suo modo di vedere, applicando i criteri AVO all'Europa, gli economisti USA divennero parziali contro EMU dal momento che individuarono un inesistente sistema di tassi di cambio flessibili, non l'effettivo sistema a tassi bloccati, come alternativa alla valuta unica. Il risultato fu un elevato grado di incomprensione negli USA dei costi e benefici di EMU. Allo stesso modo, Frieden (1998) sostenne che l'idea pratica offerta dalla teoria AVO statica fosse limitata dal fatto che fosse difficile misurare accuratamente gli effetti di lungo periodo dell'unificazione monetaria e stimare gli effetti welfare della valuta unica.
Interrogato sul futuro del sistema monetario globale, in un'intervista di Maggio 2000, Milton Friedman espresse profonda preoccupazione per l'euro:”Dal punto di vista scientifico, l'euro è la cosa più interessante. Penso sarà un miracolo – bene, miracolo è un po'forte. Io penso che sia molto improbabile che diventi un gran successo....Ma sarà molto curioso vedere come funziona”
Friedman sottolineo' la mancanza di mobilità del lavoro tra gli Stati membri nelll'area euro, come Italia e Irlanda, avrebbe compromesso una politica monetaria unica.


(3) Euro e Dollaro: una lotta per la supremazia (53)
La forte caduta del valore dell'euro rispetto al dollaro nel 1999-2001 avvio' un vibrante dibattito su euro/dollaro. Prima del lancio dell'euro in Gennaio 1999, la discussione era incentrata sul potenziale ribilanciamento dei portafogli valutari in uscita dal dollaro verso l'euro. Questa previsione era fondata sulla comparsa di una valuta che rappresentava una zona di potere economico simile agli USA e sull'immediato potenziale dell'Euro di sfidare lo status di valuta di riserva globale proprio del dollaro. Come esempio, Bergsten (1997) sostenne che dal momento che l'euro avrebbe creato una zona finanziaria integrata più ampia degli USA, l'euro avrebbe rapidamente rivaleggiato e anche superato il dollaro come prima scelta tra le valute di riserva internazionale (54)
Questo è congruente con il punto di vista di Mundell (1997-1999) che predisse che l'euro avrebbe rivaleggiato con il dollaro come valuta di riserva globale e che il tasso di cambio euro/dollaro sarebbe diventato il più importante nel mercato valutario mondiale. Mundell (1999) predisse che nel 2010 “le riserve valutarie mondiali avrebbero ammontato a 1.2 trilioni in $, 1.2 trilioni in €, e 0.8 trilioni in altre valute”, che significava che le riserve in euro e dollari sarebbero state circa della stessa misura (55)
Ponendo EMU in una prospettiva storica di lungo periodo, Eichengreen (1998) sottolineò che se l'euro avesse resistito nel lungo periodo avrebeb avuto il potenziale per soppiantare il dollaro come valuta di riserva globale. Altri economisti erano più cauti nelle loro previsioni. Selgin (2000) noto' che se ECB voleva che l'euro diventasse valuta di riserva globale, allora le politiche di bassa inflazione avrebbero dovuto persistere mentre l'euro si consolidava come degno successore del Marco tedesco (56). Concluse che “dovesse l'euro fallire nel raggiungere questo status, comunque, le conseguenze non saranno limitate a un'inflazione europea più elevata. Il dollaro ancora una volta regnerebbe incontrastato nel mercato internazionale valutario (57)
Offrendo una prospettiva di più ampio raggio sugli esiti economici nel 21o Sec., Krugman (2000) affermo' che “mentre l'euro sicuramente avrebbe rivaleggiato con il dollaro come valuta internazionale, i benefici per l'Europa sarebbero stati modesti”. Questo si sposa con quanto sostenuto da Frankel (2000) e da precedenti lavori di Krugman (1998,1999), che considerava probabile che il dollaro ci avrebbe gradualmente rimesso dall'istituzione dell'euro.
Eichengreen e Krugman (1998) misero in discussione i benefici per gli USA di aver avuto il dollaro come valuta di riserva globale durante il passato mezzo secolo. In una analisi simile, Cohen (2000) argomento' che le chiavi per il successo del dollaro USA – stabilità politica, certezza del capitale, convenienza di scambio, e rete transazionale – probabilmente non sarebbero stati sfidati da un ingente riallineamento di portafoglio in favore dell'euro, dovuto alla prevalente inerzia e a un alto grado di avversione al rischio (58)
Le cause sottostanti della caduta dell'euro versus dollaro nel periodo 1999-2001 condussero a varie interpretazioni negli USA. Eichengreen (2000) riesaminando il comportamento dell’euro nei suoi primi anni noto’ che mentre l’euro aveva fallito il tentativ odi sfidare il dollaro come era stato previsto da Bergsten (1997) e altri, aveva invece prodotto uno smisuratamente forte impatto nel creare un più profondo mercato finanziario europeo (59). Argomentò che il declino dell’euro nel 1999 “non riflette l’incompetenza di ECB o vizi nel progetto dell’unione europea. Piuttosto è la risposta ad asimmetrie cicliche, tra USA e Europa”, riflettendo quindi le migliori performances economiche degli USA nel periodo (60). Questo combacia con l’analisi di Dornbusch (2000,2001) che non vide l’iniziale debolezza dell’euro come un allarme a tutto tondo.
Dornbusch (2001) offrì un’ulteriore interpretazione, motivando che la debolezza dell’euro fosse dovuta a una combinazione di 3 fattori: primo, fallimento nel lancio dell’euro il 1/1/1999 (monete e banconote non furono introdotte fino a gennaio 2002); secondo, la debole capacità comunicativa di Duisenberg (primo presidente ECB); infine, le differenze di performance economica tra USA e economie dell’area Euro (“l’euro è debole perché l’europa è debole”).
Spiegando la rapida caduta dell’euro contro il dollaro durante i primi 12 mesi di vita, Feldstein (2000) stabilì che il declino lungo il 1999 provava che l’euro non era in grado di dare certezza del tasso di cambio ai produttori europei. Le proiezioni pre-1999 sulla forza dell’euro erano basate su fondamentali politici più che economici. La vera credibilità dell’euro era stata minata alla base da due strategie base della ECB, che lasciarono “i mercati finanziari confusi, un incertezza che è composta dalle informazioni limitate rivelate riguardo le deliberazioni ECB e dall’occasionale tendenza di discorsi contraddittori da parte dei membri ECB. E’stato anche accentuato dall’apparente mancanza di accordo sul significato di “valore internazionale della moneta”(61)
Comparato con la maggior parte dei commenti USA sul tasso Euro/Dollato, Friedman adottò un approccio soft. Interrogato al proposito in un’intervista nel Maggio 2000:”Pensa che il deprezzamento dell’euro sia un brutto segno? [era a circa $ 0.90, al momento], Friedman replicò:” No, neanche un istante. Al momento la situazione è lampante. L’euro è sottovalutato, il dollaro USA sopravvalutato. Relativamente al dollaro, l’euro si apprezzerà e il dollaro si deprezzerà (62)”
La gestione del tasso di cambio euro attrasse anche l’attenzione di Krugman (1999) e Dornbusch (2001). Entrambi concordarono che i benefici dell’emissione concentrati nell’Europa come risultato dell’internazionalizzazione dell’euro fossero minori. Entrambi sostennero che l’area euro avrebbe dovuto adottare un approccio di “benigna indifferenza” verso il suo tasso di cambio e piuttosto concentrare la politica monetaria su obiettivi interni (pan-Europei) come faceva la FED negli USA (63)
Kenen (2002) analizzando in retrospettiva le predizioni pre-1999 di un imminente avvento di un sistema monetario tripolare, notò che il tasso euro/dollaro non era arrivato a simboleggiare la lotta per il dominio globale dei due più forti protagonisti, ma piuttosto che “il cambio verso l’euro è più adatto a manifestarsi come crescente flusso di domanda per bonds denominati in euro, azioni e altri assets, piuttosto che u qualcosa derivante da un aggiustamento “in blocco” di tutti gli stock predetti dagli euro-entusiasti qualche anno prima”. Nel tempo questa previsione si è dimostrata fondata.


3 Perchè gli economisti USA erano così scettici sulla valuta unica?

Risultato principe della nostra ricerca è che gli economisti USA erano per lo più critici sulla valuta unica negli anni ’90. Ma ora, l’euro ha più di 10 anni di vita. Col tempo, le previsioni pessimistiche e gli scenari degli anni ’90 non si sono concretizzati. L’euro è ben stabilito. L’euro non ha creato agitazioni politiche in Europa. Ha incoraggiato integrazione finanziaria, di mercati di lavoro e commodities nell’area euro. Il commercio è aumentato e così la sincronizzazione del ciclo del business. L’inflazione differenziale nell’area euro è presente nella stessa misura di grandezza di quanto avviene negli USA.(64)

Perché gli economisti USA erano così scettici verso l’integrazione monetaria europea prima dell’esistenza fisica dell’euro? Suggeriamo diversi fattori che contribuirono a questo atteggiamento:

Primo, il pensiero degli economisti USA era fortemente influenzato dalla teoria AVO – un’innovazione NordAmericana. Era lo strumento analitico principale usato da loro per analizzare costi e benefici della creazione di una unione monetaria (65)
Il paradigma AVO diede un’impostazione negativa alle valutazioni della valuta unica sottolineando una serie di costi dell’unificazione, e ignorando aspetti dinamici, politici e istituzionali della integrazione monetaria.(66) L’approccio AVO era retrodatato come sottolineato da Mongelli (2005). Tutti gli studi europei ispirati da AVO – e ce ne furono molti – conclusero che i potenziali membri dell’unione monetaria europea semplicemente non soddisfacevano i vari criteri per una AVO, con riguardo a mobilità del lavoro, trasferimenti fiscali transfrontalieri, movimenti del ciclo di business, incidenza degli shocks, etc. Alcune volte questo risultato si combinava con il fatto che una serie di paesi europei era più vicina all’essere AVO rispetto a un’area geografica più ampia includente paesi periferici come Grecia e Portogallo. Una conclusione standard di questo filone di studio fu che gli USA erano migliori candidati per una unione monetaria che non l’Europa. Secondo, il paradigma AVO ispirò gli economisti USA ad applicare un approccio statico astorico. Gli economisti USA in genere confrontavano l’Europa degli anni ’90 con l’unione monetaria USA come nel paragone dei loro studi ispirati da AVO. L’uso di tale forma di benchmark condusse al’osservazione che l’Europa fosse meno flessibile, meno integrata, caratterizzata per un meno integrato sistema di redistribuzione fiscale e mostrasse un controllo politico meno centralizzato rispetto agli USA. Fecero l’errore di comparare il processo in corso di integrazione monetaria europea, con i suoi scivoloni, crisi, tensioni economiche e politiche, con lo stato maturo e stabile dell’integrazione finanziaria e monetaria USA, non considerando il fatto che l’unione monetaria USA fosse il risultato di un lungo processo di unificazione politica, finanziaria, economica. (67)

Visto dalla prospettiva dell’unione dollaro, fermamente stabilita negli USA negli anni ’90, era facile per gli economist USA qualificare I tentative europei di creare una valuta unica come inappropriate e inconcludenti. Ad ogni modo il processo di unificazione monetaria dal rapporto Delors appare molto più rapido rispetto a quello USA. Alla fine, degli economisti guidati da Frankel e Rose arrivarono a riconoscere una sorta di debolezza “evoluzionista” del paradigma AVO tradizionale nei loro lavori sull’endogenità delle unioni monetarie, rendendo l’approccio AVO più orientato al futuro.

Invece di comparare l’Europa prima dell’introduzione dell’euro con gli USA anni ’90, una comparazione più adeguata sarebbe stata con il futuro funzionamento dell’area euro. Tale approccio avrebbe dovuto considerare il funzionamento del il sistema di federalismo fiscale USA come più o meno efficiente rispetto a quello EMU, dove la politica fiscale è progettata in accordo alle esigenze locali dentro una struttura derivante dal Patto di stabilità

Terzo, il paradigma convenzionale AVO si ferma sulla comparazione tra costi e benefici di un sistema a tasso completamente flessibile e uno a tasso permanentemente fisso. A ogni modo l’Europa non si trovo’ mai di fronte a una scelta tra questi 2 casi estremi, dal momento che un tasso di cambio flessibile non era una seria opzione per la maggioranza dei paesi nel valutare l'unione monetaria. Piuttosto, l'alternativa all'unione monetaria di tassi permanentemente fissi era un sistema di tassi fissi ma aggiustabili, alcune volte descritto come “tassi di cambio semi-permanenti”

Questo sistema perse credibilità negli anni '70, 80 e primi '90, dal momento che diede adito a frequenti riallineamenti del tasso di cambio che furono costosi politicamente, e crearono tensioni consistenti tra paesi Europei. I paesi evitarono il necessario aggiustamento del tasso di cambio il più a lungo possibile. Questa esperienza negativa di cambi semifissi contribuì al processo di unificazione monetaria in Europa.

Ancora, il calcolo costi-benefici degli economisti USA non era basata sul confronto tra costi e benefici di un sistema a tassi di cambio permanentemente fissi, che è l'unione monetaria, e il sistema di cambi semi-permanenti che esisteva in Europa prima dell'unificazione monetaria, perchè tale sistema non era compreso nel tradizionale paradigma AVO. Tale confronto avrebbe dovuto essere un esercizio più appropriato che quello tra un'unione monetaria e la inesistente opzione di cambi perfettamente flessibili. In tutta probabilità questo avrebeb dato un punto di vista USA più positivo sulla valuta unica. Quindi, essendo vincolati analiticamente all'approccio AVO, gli economisti USA erano inclinati a respingere l'unificazione monetaria senza porre adeguata attenzione e costi e benefici dell'equilibrio monetario esistente in Europa. Le loro prospettive teoretiche dirottarono la loro attenzione altrove.

Quarto, infine, il paradgima AVO puro guidò gli economisti USA a sviare come se non assegnasse ruolo ai fattori di politica economica come la preferenza per una più profonda integrazione Europea, il desiderio di evitare tensioni sui tassi di cambio e di andare verso una stabilità del livello dei prezzi. (68)

Siccome molti economisti credevano che la valuta unica per l'Europa fosse prima di tutto un progetto politico, che ignorava I fondamentali economici sottolineati dall'approccio AVO, temevano che gli europei stessero costruendo una unione monetaria malamente progettata con una vita breve davanti. In aggiunta, la crisi del sistema del tasso di cambio nei primi anni '90 rafforzò la sfiducia degli USA nell'integrazione monetaria europea. Di conseguenza un tasso di cambio permantemente fisso fu percepito come cattiva soluzione politica per l'Europa.

Di certo la valuta unica è un progetto politico. Non fu inventata e propugnata da economisti di professione sulla base di teorie e modelli economici. L'intero progetto di integrazione Europea dopo la 2a G.M. Fu guidato da politic e volontà politiche. A ogni modo questo non significa che il progetto sia isolato da sviluppi economici e pensiero economico. Riguardo la valuta unica, implica che la teoria AVO non dovrebbe essere vista come una forza guida dietro l'euro e dovrebbe essere usata con attenzione nel valutare il progetto valuta unica. Lo scopo dei policymalkers europei negli anni '80 era la realizzazione del mercato unico. In questo contesto, vedevano la valuta unica come passo importante verso un mercato comune ben funzionante
La storia monetaria suggerisce che il potere predittico dell'approccio AVO è estremamente labile (69)

Le unioni monetarie non sono state stabilite in accordo con I criteri AVO. L'approccio ignora I fattori storico-politici che guidano l'integrazione. Quindi, l'approccio AVO è troppo strettamente definito in termini economici per interpretare l'integrazione monetaria Europea. Adottando l'approccio AVO, gli economisti USA ebbero precluso un approccio bilanciato alla comprensione dell'integrazione monetaria europea.

Permetteteci di speculare su 2 addizionali ragioni – probabilmente minori – dello scetticismo USA verso euro. Primo, sospettiamo che lo scetticismo USA verso l'euro fosse parzialmente guidato da considerazioni politiche. Alcuni economisti USA potrebbero aver temuto che l'euro sarebbe potuto diventare un competitor forte per il dollaro e che EMU avrebbe guidato l'Europa ad allontanarsi dalla cooperazione transatlantica, indebolendo il ruolo degli USA sulla scena globale. Questo sospetto potrebbe essere stato amplificato dal fatto che proclami di questo tipo stavano venendo lanciati in Europa negli anni '90,a supporto della valuta unica (70)


Infine, gli economisti sono attratti dal trovare colpe abbinate con propositi politici e grandi progetti – l'euro chiaramente rientra in questa categoria – per essere critici, in breve, per avere un'attitudine scientifica. Data questa propensione sottolineata nel nostro modello professionale, potrebbe esser e giusto concludere che c'è un pessimismo di fondo nel nostro modo di vedere il mondo. In aggiunta, il mercato per previsioni pessimistiche è probabilmente più attrattivo che per previsioni ottimistiche. Questo potrebbe dar conto del fatto che non siamo stati in grado di trovare un economista USA che tenesse fortemente per la causa dell'euro prima della sua nascita.


4 Conclusioni
Il processo negli anni '90 che condusse all'istituzione dell'euro è unico – non c'è niente di simile nella storia politica e monetaria. Di certo, questo rese difficile giudicare e prevedere il futuro dell'integrazione Europea monetaria. Ancora, gli economisti USA erano attratti come impazienti commentatori allo sbocciare della storia della valuta unica, applicando I loro modelli e tecniche, impattando sulle analisi nel resto del mondo.

In questo report abbiamo descritto il lavoro degli economisti USA sull'integrazione monetaria europae dalla presentazione del rapporto Delors nel 1989 fino all'introduzione dell'euro come valuta “fisica” reale nel 2002. Abbiamo evidenziato la maggior parte dei contributi preovenienti da due gruppi di economisti, quelli provenienti dalla FED e quelli provenienti dalle università.

La nostra esplorazione dimostra che gli economisti della FED si concentrarono sull'operazione in corso della proposta di banca centrale Europea e le sue politiche, descrivendola in termini piuttosto neutrali e oggettivvi. Ebbero un punto di vista sulla valuta unica più pragmatico e rispetto agli economisti accademici. Inoltre miravano a un pubblico meno sofisticato rispetto agli economisti accademici, scrivendo pezzi spesso brevi e semplici. Di solito, riportando l'evoluzione del nuovo sistema di banca centrale Europea, applicarono una prospettiva da banca centrale. Erano fondamentalmente positivi verso l'integrazione economica e monetaria europea, per lo meno se paragonati agli economisti accademici.

Gli economisti accademici si concentrarono sulla domanda: “l'Euro è una cosa buona o cattiva?”
Cercarono una risposta, prima di tutto, con l'aiuto dell'approccio AVO (Area Valutaria Ottimale). La loro ricerca ispirata da AVO sfociò in un punto di vista comune:


I potenziali stati membri UE erano ben distanti da una ben funzionante unione monetaria rispetto agli USA a causa della loro mancanza di un meccanismo di redistribuzione fiscale pan-Europea, la bassa mobilità del lavoro in Europa e una più elevata frequenza di shocks asimmetrici regionali in Europa rispetto a quanto accadeva negli USA. In particolare, il debole federalismo fiscale nell'UE era fonte di pessimismo per il futuro di EMU.

Il dibattito USA subì cambi significativi, evolvendo continuamente in risposta agli eventi in corso, iniziando nei primi anni '90 da una prospettiva alquanto scettica dell'integrazione monetaria europea vista come improbabile da realizzarsi, o non secondo I programmi, fino a un'acccettazione dell'euro nei tardi '90, a volte in combinazione con la previsione che non avrebbe durato a lungo.

Il tono scettico trovato negli scritti degli economisti USA nella prima metà degli anni '90 fu incoraggiato da vari blocchi nel processo di integrazione europea. La difficoltà nel ratificare il trattato di Maastricht, il collasso della fascia del tasso di cambio ristretto nel '92, e I vincoli politici e economici imposti dai criteri di convergenza caratterizzarono con forza gli argomenti USA come il motivo per cui la valuta unica non fosse una via percorribile.

L'incontro del Consiglio Europeo, Dicembre 1985, che stabilì la data per il lancio dell'euro,, rappresenta un punto di svolta nell'opinione USA su EMU e la valuta unica. Da allora, la discussione si llontanò dal dibattito se EMU sarebbe stato realizzato, per approdare a un dibattito con l'accettazione di EMU come realtà emergente, in accordo con la tabella di marcia. Questa consapevolezza si riflette anche nello spostamento dall'uso della prospettiva tradizionale AVO verso un esame più ampio dei futuri effetti dell'unione monetaria Europea su commercio e integrazione.

Sebbene il paradgima convenzionale AVO come strumento per analisi del processo di integrazione monetaria Europea fosse stato sfidato a un obiettivo difficile e in crescita, l'approccio AVO mantenne la sua presa sulle analisi USA sull'euro durante gli anni '90. Suggeriamo che l'uso del paradigma AVO fosse la fonte principale del pessimismo USA verso la valuta unica negli anni '90. L'approccio AVO era sbilanciato verso la conclusione che l'Europa fosse lontana dall'essere un'Area Valutaria Ottimale. Il paradgima AVO ispirò una analisi statica, trascurando lo scorrere del tempo nel processo di unificazione monetaria. AVO ignorava il fatto che l'Europa stesse affrontando una scelta tra tassi di cambio permantemente fissi e tassi semi-permanentemente fissi. L'approccio AVO guidò l'analisi verso la conclusione secondo cui la valuta unica era un costrutto politico con poche o nessuna basi economiche. In breve, adottando la teoria AVO come principale strumento di analisi, gli accademici USA divennero sbilanciati negativamente contro l'euro.

Attualmente, è qualcosa di sorprendente che gli economisti USA, vivendo in una ampia unione monetaria e godendo dei benefici dell'integrazione monetaria, fossero (e tutt'ora restano) critici verso l'euro. Gli economisti USA presero (e ancora prendono) l'esistenza l'esistenza di una valuta dollaro unica per il loro paese come un tale lapalissiano fenomeno – che, come abbiamo visto – nessun economista USA, ispirato dall'approccio AVO, ha proposto una rottura dell'unione monetaria USA in aree valutarie regionali più piccole in accord con l'approccio AVO. Forse dovremmo prendere questo come un segno positivo per il futuro dell'euro: una volta istituito, alla fine si trasformerà in nella normale condizione degli affari monetari?

1 This paper was prepared for the session Reflections on American Views of the Euro Ex Ante: What We Have Learnt 10 years Ex Post, at the AEA meeting, January 2009 in San Francisco. We have benefited from constructive comments by Michael D. Bordo, Barry Eichengreen, Harry Flam, Jeffrey Frankel, Charles Goodhart, Dale Henderson, Peter Kenen, Francesco Mongelli, Niels Thygesen and Jürgen von Hagen as well as from participants at the 11th Annual Conference on European Integration in Mölle, May 2009. We owe a special debt to
Jeffrey Frankel and Francesco Mongelli. The usual disclaimer applies.

2 In 2002, twelve out of the then fifteen EU Member States introduced euro notes and coins. The three exceptions were Denmark, Sweden and the United Kingdom. Slovenia adopted the euro in January 2007, Malta and Cyprus in January 2008, and Slovakia in January 2009.

3 American economists have described the single currency in similar terms, for example “a remarkable and unprecedented event in economic and political history” (Feldstein (2000a)), “an economic and political phenomenon” (Eichengreen (1994a)) and “the grand project of Europe” (Krugman (2000)).

4 Almost every “birthday” for the euro has inspired evaluations of its life-time accomplishments. See among others European Economy (2008) and Mongelli and Wyplosz (2008) for surveys of the euro when turning ten years.

5 We also cover interviews, speeches and short articles in the media.

6 The literature on the future of the EMU is vast. It started with the announcement of the first plans for the creation of the single currency. For a discussion of this strand of work, including European contributions, see among others Jonung (2002).

7 The convergence criteria stated that (1) the rate of inflation of a Member State must not exceed by more than 1.5 percentage points the average inflation rate for the three best performing Member States, (2) the nominal long term interest rate of a Member State must not exceed by more than 2 percentage points the average nominal long term interest rate of the three best performing states, (3) the budget deficit must not exceed 3 percent, and total debt 60 percent of GDP, and (4) the exchange rate of the Member State must have been held within the Exchange Rate Mechanism of the European Monetary System for a period of two years without serious pressure on the exchange rate.

8 For an account of these developments see for example Gros and Thygesen (1998) and Maes (2007).

9 Title borrowed from Pollard (1995).

10 She quoted the findings of Emerson et al. (1988) that the completion of the single market would result in a decrease in imports from outside Europe of between 7.9 and 10.3 percent. See also Rolnick and Weber (1990) for a broader, historically based analysis of the rationale for fixed exchange rates.

11 Glick (1991, p. 2) stated that “factor mobility is now and is likely to remain much lower than in the US because of Europe’s greater social, linguistic and cultural diversity”.

12 In addition to the Danish rejection of the Maastricht Treaty in June 1992, ratification was also delayed due to a legal challenge
mounted in the German constitutional court (The Brunner Case). The Maastricht Treaty eventually came into force on 1
November 1993 in Germany.

13 Pollard (1995) viewed Portugal, Spain and Greece as the Member States that faced most difficulties in meeting the
convergence criteria.

14 On this account, the US debate likely mirrored the discussion in Europe about delaying the introduction of the single
currency.

15 Here, Schinasi (1989) discussed the determinants of the demand of and supply for the potential reserve
currency, the predictability of such determinants and the implications of a unified European monetary policy for
U.S. monetary policy.
16
At an early stage Estrella and Mishkin (1995) discussed monetary policy issues facing the European Central
Bank, comparing ECB with the Fed.

17 See among others Giovannini, Cooper and Hall (1990), Arndt and Willet (1991) and Eichengreen (1993) for broad
examinations of the prospects for EMU.

18 See for example Frankel (1992) and Froot and Rogoff (1991).

19 No such devaluations occurred when the euro eventually was launched in 1998-99.

20 See Kenen (1992) for an overview of the fiscal policy debate and Hutchison and Kletzer (1995) on the use of fiscal
convergence criteria.

21 Frankel (1993, p. 8) noted that “the fiscal criteria are less directly relevant to the Optimum Currency Area question than the
other Maastricht criteria. But precisely because they are so difficult, they offer a test of strength and will. They even more
seriously than a referendum force the constituencies within a country to confront the question of how badly they want EMU”.

22 See Meltzer (1990), Folkerts-Landau and Garber (1992) for a pre-ERM crisis assessment of the EMS and the EMU project and Eichengreen (2000b), Kenen (1995) and Wachtel (1996) on the Maastricht Treaty after the ERM crisis.

23 Hutchison and Kletzer (1995) argued that economic efficiency considerations will lead to fiscal federalism under EMU. See also Wildasin (1990) and Frankel (1993).

24 Salvatore (1996) believed EMU by the end of the 1990’s was possible, but far from certain, due to the overarching danger of asymmetric shocks.

25 Mundell (1961), McKinnon (1963) and Kenen (1969) are the key building blocks in this literature.

26 In the introduction to his collection of studies on European monetary unification, Eichengreen (1997, 1) stressed that the OCA
theory served as the “organizing framework” for his analysis. The same holds for almost all US economists estimating the costs
and benefits of the single currency in the 1990s.

27 See among others Bayoumi and Masson (1995), Sala-i-Martin and Sachs (1991), Eichengreen (1990a, 1991 and 1992b), and
Bayoumi and Eichengreen (1993).

28 Later the work by Bent Sorensen and his collaborators emphasized risk-sharing and income-smoothing within the United
States via financial markets, an effect not considered in the early OCA literature. This mechanism can be regarded as a substitute
for fiscal transfers. See for example Sorensen and Yosha (1998).

29 Eichengreen (1992a) and Krugman (1993) are other examples of the use of the US historical record to discuss the future of the
EMU.

30 Eichengreen and Frieden (1994) discussed the politics of monetary unification as involving inter-state bargaining, issue
linkages, and domestic distributional factors. See also Gabel (1994) and McKinnon (1995) for similar arguments.


31 Eichengreen and Frieden (1994) is an example of this view.

32 A notable exception being Richard Cooper in Giovannini, Cooper and Hall (1990). Conversely, Dornbusch (1996b) summed
up the whole EMU project as “Euro fantasies”.

33 See for example John Whitt (1997, p. 27) stating “as long as the political leaders in the two largest countries in the EU,
Germany and France, are committed to going ahead, the prospects for at least a mini-union beginning in 1999 seem favourable”.
See also Wynne (1999b).

34 Article 105 of the Maastricht Treaty (1992) states that “the primary objective of the ESCB shall be to maintain price stability”.
The Federal Reserve Act, Section 2A.1, sets out the Federal Reserve’s mandate as “The Board of Governors of the Federal
Reserve System and the Federal Open Market Committee shall maintain long run growth of the monetary and credit aggregate
commensurate with the country’s long run potential to increase production, so as to promote effectively the goals of maximum
employment, stable prices and moderate long term interest rates”.

35 The Fedeal Reserve Act, Section 4.20, gives the Board of Governors the authority to supervise the activities of the regional
reserve banks, to approve their budgets and the appointment of their presidents. The Board of Governors also appoints three of
the nine directors of the regional reserve banks.

36 Meade and Sheets (1999, 66) concluded that “Europe may do well to heed the Fed’s history. Much more decentralized in
structure and operational responsibilities than the Fed, the ESCB must avoid any tendency to promote the national economic
situation”.

37 As outlined in the ECB Press Release on 13/10/1998 entitled “A stability-orientated monetary policy strategy for the ESCB”.
This strategy rests on two pillars: first, a prominent role for money - this is signaled by the announcement of a reference value for
the growth of broad money supply, and second, a broadly based assessment of the outlook for future price developments and the
risks to price stability in the euro area. See also Bertaut (2002).

38 The Governing Council is the highest decision making body of the ECB, comprised of the six members of the Executive
Board and the governors of the national central banks of the euro area. Each member of the Governing Council has one vote in
policy decisions. The key task of the Governing Council is to formulate the monetary policy of the euro area.

39 Specifically Goodfriend (1999) and Wynne (1999a).

40 See also Klein (1998) and Whitt (1997).

41 See also Gramlich and Wood (2000) and Spiegel (1997) on the economic arguments for the Stability and
Growth Pact.

42 “A US Perspective on Economic and Monetary Union in Europe”, speech before the Association of German
Mortgage Banks, Frankfurt, Germany, November 17, 1997. See also Guynn (1998) and Meyer (1999).

43 See for instance the speech by Treasury Secretary Lawrence Summers, given to the Euromoney Conference,
New York, April 1997 and the 1999 Economic Report of the President, pp. 290-305.

44 In a document entitled “The Euro-Implications for the US (March 2000, p. 25/26). The 1999 Economic Report
of the President spoke of the euro in the following terms (p. 305): “The United States salutes the formation of the
European Monetary Union. The United States has much to gain from the success of this momentous project. Now
more than ever, America is well served by having an integrated trading partner on the other side of the Atlantic”.

45 See Feldstein (1997a and b, 1998, 1999, 2000a and b, and 2001) and Feldstein and Feldstein (1998).

46 Feldstein (1997a) viewed other EU Member States, such as Italy and Spain, as participating in
EMU, not due to its questionable economic benefits, but rather due to a combination of the fear of
being excluded from the deepening of the political union of the EMU likely to follow the
implementation of the single currency, and the belief/fear that countries will be discriminated against in
other EU policy areas if they do not join.

47 In an interview with The Region, Federal Reserve Bank of Minneapolis, December 2001.

48 See also Willet (1999) on the weaknesses of the EMU project.

49 Obstfeld (1997) noted that “with European economic and monetary union finally underway,
potential fault lines are apparent. EMU, it is often said, is at bottom about politics, not economics.
Political change is, however, an ongoing, dynamic process; it is a mistake to think that the visions
motivating today’s European leaders will be enough to sustain EMU indefinitely”. See also Obstfeld
(1998, 1999).

50 Taken from the annual Finlay-O’Brien lecture delivered at University College, Dublin, Ireland on
October 7th 1996 and elaborated in Eichengreen and Ghironi (1996), Bayoumi, Eichengreen and von
Hagen (1997) and Eichengreen and von Hagen (1996). See also Eichengreen (1996b) and Makin
(1997).

51 See also Frieden (1998), Willet (1998a), Salvatore (1998) and Salvatore and Fink (1999) as applications of the OCA approach
to European monetary integration.

52 Bayoumi and Eichengreen (1997) tried to operationalize OCA theory by analyzing the determinants of exchange rate
variability by relating it to asymmetric output disturbances, the dissimilarity of the composition of exports of different countries,
the importance of bilateral trade linkages and relative economic size. Eichengreen (1996a), while stressing the usefulness of this
approach for ranking candidates for EMU, admitted that it was impossible to say whether the costs and benefits dominate for an
individual country or the group as a whole. See also Eichengreen and Wyplosz (1998) and Eichengreen and Frieden (1998).
Kouparitsas (1999) provides the only Federal Reserve analysis of this subject during this period as far as we have found.

53 Title borrowed from Kenen (2002).

54 Bergsten (1997a, 1999), McKinnon (2001a and b), Mussa (1997, 2000) and Salvatore (2000) also
considered this issue.

55 This forecast proved incorrect as the dollar is still the number one reserve currency.

56 See also Prati and Schinasi (1997) and Masson and Turtleboom (1997). Masson and Turtleboom
(1997) concluded that the dollar would remain a dominant international currency in the absence of
political and economic meltdown in the United States.

57 See Eichengreen and Ghironi (1996) for a historical analysis of the rise and fall of reserve
currencies. Eichengreen held that the institutional structure of the European System of Central Banks
would prevent the euro from turning into an international currency. See also Frankel (2000a and b),
Scott (1998), Devereux and Engel (1999), Devereux et al. (1999) and McKinnon (2002).

58 On the distribution of currencies see Cohen (1998 and 1999) and Beddoes (1999).

59 Ferson and Harvey (1999) viewed the greatest benefit of the euro as reducing the complexity of
foreign exchange risk in asset pricing models.

60 Eichengreen (2000a) noted the “the incompetence of the ECB or flaws in the design of Europe’s
monetary union” were made up of policy mistakes by an inexperienced ECB Executive Board, the
failure of the ECB to release its inflation forecasts, policy disagreements among ECB officials, the
exemption Italy was granted from the Stability and Growth Pact and the confrontational attitude of
some national politicians such as the German Finance Minister, Oskar La Fontaine. See also Dornbusch
et al. (1997) for a similar analysis.

61 The Treaty of Maastricht does not give sole power to the ECB for the management of the euro's external value.

62 Friedman’s forecast proved correct.

63 Krugman (1999b) cites the findings of Portes and Rey (1998) that the sum of the gains accruing from
seignorage to be no more than 0.2 per cent of GDP.

64 See European Economy (2008).

65 Of course, this holds for non-US economists as well. See the survey by Mongelli (2005) for an
assessment of the use of OCA theory to analyze EMU.

66 See also De Grauwe (2003, p. 58) on the bias of the OCA paradigm against unification: “The
traditional theory of optimal currency areas tends to be rather pessimistic about the possibility for
countries to join a monetary union at low cost”.

67 Rockoff (2000) concluded that it took the United States about 150 years to form an optimum
currency area. Rockoff’s conclusion suggests that the US monetary situation after the American
Revolution in 1776, with different states issuing their own currencies, may be an interesting
comparison with the European situation in the 1990s.

68 This point is stressed by Goodhart (1998) stating that in the OCA approach “there is no reason why
currency domains need to be co-incident and co-terminous with sovereign states. There is no reason
why such a state should not have any number of currencies from zero to n, and an optimal currency
area, in turn should be able, in theory, to incorporate (parts of) any number of separate countries from
one to n.” However, such outcomes are rarely observed. Historically currency areas and nation states
coincide as an empirical regularity. See also Bordo and Jonung (1997) on the importance of a historical
perspective to understand how monetary unification emerges and dissolves.

69 According to Goodhart (1998), ”OCA theory has little, or no predictive or explanatory capacity. …
it is unable to account for the close relationship between sovereignty and currency areas".

70 See for example Bergsten (1999) for a discussion of the relationship between the US and Europe.

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